Il primo film di Sergio Leone con Clint Eastwood e Gian Maria Volonté si chiamava “Per un pugno di dollari”, uscì nelle sale nel 1964 e ancora oggi è un bellissimo film che ogni tanto passa in televisione. Quello che invece siamo costretti a vedere ogni giorno, in televisione, sui giornali, sui siti web e in ogni dove, non è un bel film, tutt’altro, e potremmo chiamarlo “Per un pugno di voti“. I protagonisti non sono attori professionisti ma sono professionisti della politica, e si chiamano Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Antonio Tajani e via via tutti gli altri uomini e donne del governo in carica.
Da qualche tempo – settimane, mesi – questi personaggi litigano a distanza, ognuno fa la sua parte, recita il suo ruolo, ma il risultato è piuttosto sconfortante per gli spettatori: la trama del film, chiamiamola così, è ripetitiva, noiosa e soprattutto non suscita alcuna emozione. Si parla di soldi, ovviamente, di soldi che poi sarebbero nostri nel senso di italiani. Devono preparare la nuova legge di bilancio, ma siccome i soldi sono pochi, pochissimi, appare molto difficile, anzi impossibile, che il governo possa riuscire a mettere in campo investimenti cospicui, tali da far uscire il Paese dalle secche in cui si trova. Mettiamoci pure l’Europa, che non solo controlla ma interviene e avverte che oltre un certo limite di spesa l’Italia non può andare. La premier, in qualche modo, lo ha capito e infatti non esagera, Salvini invece o non l’ha capito o fa finta di non capirlo ed esagera, ogni giorno ne tira fuori una, anzi due, oppure lascia ai suoi fedeli il compito di sparare le altre cazzate che magari sono eccessive anche per lui. Come quella sui tedeschi che ottant’anni fa ci invasero con l’esercito e adesso lo fanno con i migranti…Vabbè, lasciamo perdere che tanto si commenta da sola. Ovviamente il leader della Lega non si risparmia, un giorno si inventa il Ponte sullo stretto (ancora?), un altro il condono edilizio, un altro ancora quello fiscale, e l’ultimo lo scopriremo domani. Meloni è costretta a intervenire, obtorto collo, visto che in cuor suo le “idee” di Salvini non le dispiacerebbero, per richiamare tutti i ministri a non esagerare: “Richieste eccessive, valgono 80 miliardi.” Il suo ruolo, i rapporti internazionali, quelli con chi deve controllare la spesa pubblica non le consentono di giocare al rialzo: deve mettersi il vestito della responsabile. E pure se le sta stretto, se lo è messo.
Il problema, oltre alla legge di bilancio che più o meno alla fine la faranno con qualche compromesso, è che si andrà avanti così fino alle elezioni europee del prossimo giugno: per i prossimi otto mesi ci toccherà assistere al balletto di chi la spara più grossa per il semplice motivo che ognuno dei protagonisti in campo ha bisogno di guadagnare qualche voto in più. E quindi pensa che più ne dice e più gli elettori ci credono e lo votano.
Si sbagliano, gli italiani ormai sono abituati a ragionare sulle cose concrete e non sulle promesse demagogiche: dunque se si comincia a costruire il Ponte, forse un pugno di siciliani e calabresi potrebbero anche votare per Salvini. Altrimenti non se ne parla. Stesso discorso sui vari condoni. E su tutto il resto che, state tranquilli, non mancherà di funestarci fino a giugno.
L’obiettivo, dicevamo, è solo quello di guadagnare qualche voto in più non dell’avversario, bensì dell’alleato. Per esempio, se La Lega riuscirà a superare il 10 per cento e Fratelli d’Italia scenderà sotto il 30, si aprirà una “bella” partita interna alla coalizione di governo, fatta di rivendicazioni di più potere, più ministeri, più qualcosa insomma a discapito del partito della premier o di quel che resta di Forza Italia.
L’occasione sarebbe ottima se l’opposizione riuscisse a coglierla: in fondo non sarebbe difficile mettere il dito nella piaga, sottolineare ogni giorno, anzi ogni ora, le contraddizioni tra i leader della maggioranza. Ma bisognerebbe farlo con una certa convinzione e usando toni anche piuttosto duri, visto che in gioco non c’è solo il destino del centrodestra o quello del centrosinistra, ma quello dell’Italia. Che non può essere la posta in palio di una sorta di partita a poker.
Riccardo Barenghi