Il caso dell’onorevole (chiamiamolo così…) Pozzolo che si presenta a una festa di Capodanno con la sua pistolina nuova di zecca per mostrarla fiero agli astanti, e mentre la mostra parte un colpo (chissà chi ha sparato) che ferisce uno degli astanti il quale non si intimorisce e denuncia il deputato di Fratelli d’Italia, non è un caso isolato. Nel senso che la “cultura” (chiamiamola così…) di Pozzolo è diffusa nel magico mondo di Giorgia Meloni. Legge e ordine, violenza contro chi non la pensa come loro, sono modi di pensare e di essere che vengono da lontano, diciamo da un secolo fa. O forse anche di più, basti pensare al famoso sonetto di Gioacchino Belli, poi citato da Alberto Sordi nel “Marchese del grillo”: “Io so’ io e voi non siete un cazzo…”. Dunque se io so’ io, io posso fare quello che mi pare alla faccia di legge, regolamenti, e (non) rispetto per gli altri. Pozzolo e i suoi amici, anzi camerati, sono quelli che fanno fermare i treni perché sono in ritardo (il ministro e cognato della premier Francesco Lollobrigida), quelli che rivelano segreti d’ufficio (il sottosegretario Andrea Delmastro, peraltro amico di Pozzolo e presente alla festa di Capodanno) al collega Giovanni Donzelli, che poi utilizza pubblicamente quei segreti per attaccare l’opposizione.
L’elenco potrebbe continuare, scendendo pe’ li rami ai tanti dirigenti locali di FdI che spesso e volentieri si lasciano andare a slogan e atteggiamenti mutuati direttamente dal ventennio mussoliniano, tanto che la stessa premier è stata costretta nella sua conferenza stampa di inizio d’anno a lanciare un monito ai suoi: “Non tutti sentono la responsabilità, ma su questo intendo essere rigida”. Peccato che sia troppo tardi, rigida avrebbe dovuto esserlo più di un anno fa, cioè quando fece le liste elettorali. Invece non lo fu e mise dentro quelle liste parecchi di quelli che “non sentono la responsabilità”, che magari le facevano comodo in quanto collettori di voti. Oppure perché non c’erano altri possibili deputati: evidentemente la cosiddetta classe dirigente del partito di Meloni, e purtroppo anche del Paese, è questa qui: tanti Pozzoli, con o senza pistola, messi in posti di comando dove non dovrebbero stare.
Lo sforzo della premier per dare una ripulita al suo partito appare dunque vano, Fratelli d’Italia o è così o non è: non basta un doppiopetto o una tessera da parlamentare o qualche incontro ai vertici europei per risultare classe dirigente degna di questo nome. Come diceva Karl Marx, “il morto afferra il vivo”. E, aggiungiamo noi, non lo lascia più, anche perché quel morto non è mai veramente morto ma “è vivo e lotta insieme a loro”. Ed è altrettanto inutile continuare, come fa Meloni, a piagnucolare su improbabili complottisti che vorrebbero farla fuori: chi sono, dove sono, quanti sono? Ovviamente non lo dice, fare la vittima è un gioco che funziona, almeno secondo lei.
Ma non è così, lei ha tutte le carte in mano per poter governare fino a nuovo ordine. Se non lo fa o non riesce a farlo non è perché c’è qualcuno nell’ombra che trama contro di lei, bensì per la sua incapacità di dirigere la sua maggioranza (basti pensare ai bastoni tra le ruote che le mette Matteo Salvini un giorno sì e l’altro pure), e anche il suo stesso partito. Costruito a sua immagine e somiglianza, quando però la sua immagine era quella di una giovane e rampante parlamentare uscita direttamente dal nefasto passato remoto dell’Italia. La ripulita che tenta faticosamente di darsi oggi è poco credibile proprio perché i suoi collaboratori ancora non hanno capito che per governare un Pese europeo nel 2024 bisogna quantomeno fare finta di non essere quello che in realtà si è: gente civile insomma. Anche utilizzando una certa ipocrisia, che nella storia della politica – e di tutta l’umanità – non è mai mancata.
Riccardo Barenghi