L’allargamento non deve diventare il pretesto per depennare le attuali regioni più povere dalla mappa dei fondi strutturali europei dopo il 2006, e neppure per sopprimere da un giorno all’altro i fondi dalle aree che non hanno ancora completato il processo di convergenza economica in Europa. In futuro la politica regionale deve continuare a esistere anche se più semplice, meno burocratica e più decentrata. Per la prima volta la Commissione europea e il commissario per la politica regionale, Michel Barnier, escono allo scoperto sull’orientamento che dovrebbe assumere la futura politica regionale in un’Europa allargata. Nel rapporto annuale sulla coesione economica e sociale nell’Ue, l’Esecutivo ribadisce: “la politica di coesione dovrebbe continuare a concentrarsi sulle regioni più povere” continuando a prendere come indicatore il Pil per abitante, considerato ”più affidabile e sintetico”. Un approccio che l’Italia non condivide in quanto vorrebbe affiancarvi altri dati come la disoccupazione, che nel 2000 variava dal 2,7% in media per le regioni più prospere al 21,9% per quelle in difficoltá. Quanto alla disoccupazione di lungo periodo, va dal 19% della Danimarca a oltre il 60% dell’Italia. Sull’introduzione di altri indicatori, Barnier sostiene “di non opporsi all’esame di nuove idee”, ma al momento preferisce il meccanismo in vigore. Dove invece il commissario appare determinato, è nel sostenere la necessità di incrementare in futuro il sostegno della politica regionale e strutturale nell’Ue: “Dovrebbero passare – dice – dallo 0,32% del Pil comunitario previsto per il periodo 2000-2006, allo 0,45%”. Un auspicio che rischia di scontrarsi con le riserve sollevate in Germania e in Olanda”.
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