Quando Mario Draghi rompe i suoi imperscrutabili silenzi le sue parole fanno sempre breccia nelle coscienze del gotha politico internazionale. Questa volta lo fa dalle pagine dell’autorevole magazine The Economist, da cui manda un chiaro messaggio a tutta l’Europa: servono nuove regole e più sovranità condivisa per evitare di “tornare passivamente alle vecchie regole sospese durante la pandemia”, il che “sarebbe il risultato peggiore possibile”.
L’ex premier e governatore della Bce sostiene che l’Europa si trova davanti a “una molteplicità di sfide sovranazionali che richiederanno in un arco di tempo limitato investimenti considerevoli, tra cui quelli per la difesa, la transizione verde e la transizione digitale”, ma al momento “non dispone di una strategia federale per finanziarli e del resto le politiche nazionali non possono farsene carico perché le regole fiscali e le regole per gli aiuti di stato limitano la capacità dei Paesi di agire in modo indipendente”. Tutto ciò in contrasto con quanto invece accade in America, “dove per raggiungere gli obiettivi nazionali l’amministrazione di Joe Biden sta allineando spesa federale, cambiamenti normativi e incentivi fiscali”, spiega. L’avvertimento di Draghi è chiaro: “Se non si agisce, c’è il serio rischio che l`Europa non riesca a centrare i suoi obiettivi climatici, a fornire la sicurezza che i suoi cittadini chiedono, e che perda la sua industria a vantaggio delle regioni che si impongono meno vincoli. Per questo motivo, tornare passivamente alle sue vecchie regole fiscali – sospese durante la pandemia – sarebbe l’esito peggiore”.
“L’Europa si trova davanti due possibilità”, afferma ancora Draghi. “La prima è allentare le sue normative sugli aiuti di Stato, permettendo agli stati membri di assumersi il pieno carico degli investimenti necessari. Tenuto conto, tuttavia, che lo spazio fiscale nella zona euro non è distribuito uniformemente, un approccio di questo tipo sarebbe in sostanza oneroso. Le sfide comuni, come quella per il clima e la difesa, sono semplici: o tutti i Paesi raggiungono il loro obiettivo comune, oppure non lo raggiunge nessuno. Se alcuni Paesi possono usare il loro spazio fiscale ma altri no, l’impatto che avranno tutte le spese è inferiore, perché nessuno sarà in grado di arrivare alla sicurezza climatica o militare”, commenta.
La seconda opzione, invece, “è quella di ridefinire il quadro fiscale dell’Ue e il processo decisionale per renderli adeguati alle nostre sfide condivise. La Commissione europea ha presentato una proposta di nuove regole fiscali proprio quando – con l’ulteriore allargamento dell’Ue previsto – è arrivato il momento giusto per prendere in considerazione questi cambiamenti”.
“Le regole fiscali”, insiste Draghi, “dovrebbero essere allo stesso tempo sia rigide, per permettere che le finanze dei governi siano convincenti sul medio termine, sia flessibili, per consentire ai governi di reagire a shock inatteso. Quelle attuali non sono né l`una né l`altra, e questo porta a politiche troppo accomodanti nei periodi di crescita e troppo rigide in quelli di bassa congiuntura. La proposta della Commissione europea farebbe molto per rimediare a una simile prociclicità. Anche se messa in atto completamente non risolverebbe del tutto il compromesso tra regole rigide – che per essere credibili devono essere automatiche – e flessibilità”.
“Soltanto trasferendo maggiori poteri di spesa al centro sono possibili regole più automatiche per gli stati membri”, precisa Draghi, ricordando che “una capacità decisionale più centralizzata” richiederà “il consenso dei cittadini europei sotto forma di revisione dei trattati dell’Ue, cosa che i policymaker europei si sono astenuti dal fare dai tempi dei referendum falliti in Francia e nei Paesi Bassi nel 2005”.
“Le strategie che hanno garantito in passato la prosperità e la sicurezza dell’Europa – fare affidamento sull’America per la sicurezza, sulla Cina per le esportazioni e sulla Russia per l’energia – sono diventate insufficienti, incerte o inaccettabili. In questo nuovo mondo, la paralisi è chiaramente intollerabile per i cittadini, mentre la drastica opzione di uscire dell’Ue ha dato risultati contrastanti. La creazione di un’unione più forte si rivelerà l’unico modo per garantire la sicurezza e la prosperità tanto desiderate dai cittadini europei”, chiosa Draghi.
Per l’ex premier, a dispetto del fallimento cui l’unione monetaria sin dal suo concepimento sembrava destinata a incorrere, “paradossalmente, le prospettive di un’unione fiscale nella zona euro stanno migliorando – perché la natura dell’integrazione fiscale necessaria sta cambiando” e ora la zona euro “si è evoluta in due modi che stanno spianando la strada a un’unione fiscale diversa e potenzialmente più accettabile”.
“Il primo: dal 2012, la Banca centrale europea ha messo a punto strumenti politici atti ad arginare l’indesiderata divergenza tra gli oneri finanziari dei Paesi più forti e dei più deboli e ha dimostrato di volerli utilizzare. Questo ha permesso alle politiche fiscali nazionali – che rivestono un ruolo fondamentale di stabilizzazione nella zona euro – di stabilizzare il ciclo economico. A sua volta, questo rende meno indispensabili i trasferimenti di fondi da un Paese all’altro”. Il secondo: “l`Europa non sta più affrontando crisi provocate da politiche inadeguate in determinati Paesi. Al contrario, deve confrontarsi con shock comuni esterni come la pandemia, la crisi energetica e la guerra in Ucraina. Questi shock sono troppo grandi perché un Paese riesca a gestirli da solo. Di conseguenza, c’è meno opposizione ad affrontarli attraverso un’azione fiscale comune”, conclude l’ex premier.
e.m.