L’innovazione tecnologica e l’evoluzione dei modelli organizzativi e produttivi hanno innescato un profondo processo di trasformazione che ha attraversato tutti i segmenti del settore delle telecomunicazioni. In un contesto in cui la velocità delle trasformazioni raggiunge picchi straordinariamente rapidi c’è necessità di adeguarsi il più velocemente possibile ai cambiamenti, soprattutto nei settori produttivi cosiddetti di frontiera.
Per fare ciò servono competenze e formazione dei giovani e – soprattutto – delle persone già oggi impiegati all’interno delle imprese. Un combinato disposto tra nuove assunzioni e formazione del personale in forza è la strada più idonea per affrontare i cambiamenti in atto. Se proiettiamo la situazione della Filiera delle TLC tra 5 anni, è chiara infatti la necessità di avviare percorsi di formazione che coinvolgano la generalità dei lavoratori della filiera (con un investimento di circa 100 milioni di euro). Se poi si amplia lo spettro di osservazione alle necessità della filiera di realizzare un vero e proprio balzo in avanti per cogliere le opportunità della trasformazione digitale attraverso un meccanismo che consenta, attraverso nuove assunzioni, l’indispensabile ricambio generazionale, l’investimento stimato nel suo complesso è di circa 1 miliardo di euro sempre nel periodo 2021 – 2026. Per essere al passo con i tempi le aziende devono puntare sul reskilling e sull’upskilling dei lavoratori per metterli nelle condizioni di competere in un mercato del lavoro in forte evoluzione, individuando un percorso verso la definizione di un “passaporto delle competenze certificabili” che possa accompagnare la persona in tutta la sua vita lavorativa. In questo processo, la formazione dentro e fuori le imprese ricopre un ruolo centrale sia per formare sin dai banchi di scuola le nuove generazioni all’uso di un linguaggio e allo sviluppo di competenze sempre più digitali, sia per aggiornare durante tutto l’arco della vita il bagaglio di competenze dei lavoratori. In questo senso serve investire sulle competenze digitali seguendo due direttrici: quella dell’istruzione e dei nuovi modelli educativi per i giovani e quella della formazione continua per i lavoratori delle imprese. La formazione, infatti, deve essere finalizzata sia a fornire gli strumenti per entrare nel mondo del lavoro con un bagaglio di conoscenze adeguato alle esigenze del mondo del lavoro, sia a favorire un aggiornamento continuo e costante nel tempo delle competenze dei lavoratori rispetto al sempre più rapido processo di trasformazione e di innovazione digitale.
In particolare, nel primo caso bisogna giocare d’anticipo: identificare i nuovi mestieri e il set di competenze – tech e soft skill – partendo dai fabbisogni delle imprese e su quelli immaginare modelli educativi che coinvolgano scuole, ITS e Università. È essenziale un vero e proprio patto tra i centri di formazione e le imprese che abbia a cuore il futuro dei giovani per orientarli e formare – così – i lavoratori del domani. Dobbiamo pertanto affiancare, accanto alla rivoluzione digitale e verde, quella dell’educazione permanente. La scuola diventa così lo strumento deputato a porre le basi per un apprendimento e un aggiornamento che dovrà durare per tutta la vita.
Nel secondo caso, la sfida evolutiva del lavoro rappresenta un banco di prova anche per il sistema delle relazioni industriali. Bisogna supportare i processi di trasformazione settoriali e aziendali per favorire condizioni di competitività, occupabilità e rioccupabilità, anche grazie a modelli e strumenti innovativi di Welfare. Inoltre, sul fronte della formazione continua che deve avere l’obiettivo di aggiornare le competenze a medio – lungo termine per evitare l’obsolescenza professionale, è necessario innescare un processo di riconversione delle competenze. In un mercato che sarà sempre più interessato da transizioni professionali, si deve investire in maniera crescente su politiche attive del lavoro per gestire in maniera non traumatica e, auspicabilmente, in maniera preventiva, l’impatto della trasformazione digitale e superare il cosiddetto skill mismatch.
Asstel è già scesa in campo con iniziative e azioni concrete. Nel 2020, nonostante la situazione di emergenza nazionale e non solo, nel settore c’è stato un investimento formativo sul personale con una media di cinque/sei giorni a persona. E in una proiezione che abbiamo fatto, nel 2021 si raggiungerà una media di circa dieci giorni. Per noi questo è un elemento strategico.
Se il cambiamento organizzativo nelle telecomunicazioni è lo scenario che coinvolge tre imprese su quattro, la risposta della Filiera che più di altre determinerà la digitalizzazione del Paese dovrà puntare su un Patto per le Competenze poiché investire nel capitale umano vuol dire porre le condizioni per essere protagonisti dell’innovazione contribuendo anche alla crescita generale del Paese.
Laura Di Raimondo