1 – Il contratto del credito recentemente rinnovato può essere considerato un buon esempio di come sia possibile, in tempi di crisi, lavorare per una migliore utilizzazione delle risorse impegnate dalla contrattazione collettiva.
Le Parti hanno infatti stipulato un’intesa che dà ai lavoratori una risposta immediata in termini di incremento delle retribuzioni ma che, sospendendone temporaneamente gli effetti differiti, non grava eccessivamente sul costo del lavoro; mette a disposizione incentivi economici e salariali per le imprese che rendano stabili rapporti di lavoro temporanei o che assumano ex novo lavoratori a tempo indeterminato con applicazione del contratto del credito; fornisce a livello aziendale strumenti contrattuali per aumentare la produttività e migliorare il servizio alla clientela, anche attraverso una diversa organizzazione degli orari di sportello; si impegna a meglio distribuire i carichi di lavoro tra il personale in servizio, anche al fine di evitare, in una prospettiva di solidarietà tra i lavoratori, che la maggiore flessibilità si traduca in estensione dell’orario per alcuni e mancanza di lavoro per altri.
Questi a mio avviso i contenuti più rilevanti, ma non certo gli unici, del nuovo contratto, che ha espresso anche un segnale positivo di solidarietà e di apertura verso il futuro: il “Fondo per l’occupazione”: le Parti, evitando di intonare un mesto compianto per i sacrifici che i lavoratori del credito dovranno sopportare nell’attuale difficile contesto economico-finanziario, hanno istituito infatti un fondo a sostegno dell’occupazione stabile dei giovani, finanziato con risorse prevalentemente a carico dei lavoratori occupati oltreché con un contributo del top management aziendale.
Ma altri temi di evidente rilevanza sono stati affrontati: quelli, ad esempio, delle libertà sindacali e della rappresentanza sindacale a livello aziendale, della definizione degli assetti contrattuali dopo l’adesione all’accordo quadro del 2009 e quello della riforma del “Fondo di solidarietà” (strumento con il quale dal 2000 in avanti sono stati gestiti i processi di ristrutturazione delle banche, e che ha consentito di gestirne le ricadute sociali attraverso l’integrazione al reddito per i lavoratori in eccedenza o disponibili ad anticipare l’uscita).
Per non ritardare la sottoscrizione dell’accordo si è infine deciso di stralciare alcuni aspetti per i quali erano necessari ulteriori approfondimenti (per esempio in tema di orari di lavoro, inquadramenti e professionalità) e di far proseguire il confronto nell’ambito di commissioni paritetiche specializzate per materia; si è prevista inoltre l’istituzione di un Osservatorio nazionale sulla produttività, di cui si dirà più avanti.
Questi in estrema sintesi gli aspetti più salienti del rinnovo, che ora esamineremo in modo più analitico.
2 – Le Parti stipulanti lo hanno definito “un contratto di lavoro (…) di carattere eccezionale che, nel quadro di una politica salariale compatibile con il sostegno dell’occupazione, con il recupero della redditività e la crescita della produttività, valorizza la solidarietà generazionale e l’equità del contributo al Fondo di sostegno all’impiego stabile dei giovani, nell’interesse comune delle imprese e dei lavoratori/lavoratrici”.
Ed eccezionali sono certamente le difficoltà del quadro di contesto e l’impegno necessario per uscire dalla crisi del sistema economico-finanziario, nonché le responsabilità per lo sviluppo economico del Paese ed i rischi gravanti sul sistema bancario italiano e per la sua competitività. Non altrettanto eccezionale, forse, ma di certo assai apprezzabile è il tentativo di percorrere strade non ordinarie, rese tali non già dalla ricerca di soluzioni particolarmente innovative, quanto piuttosto dalla consapevolezza che, non potendo disporre di risorse aggiuntive, fosse necessario orientare con maggior profitto l’utilizzo delle risorse esistenti verso scopi di riconosciuto valore per entrambe le Parti, con l’impegno a rendere compatibili occupazione, redditività e produttività ed a dare un contenuto ad espressioni come «solidarietà tra generazioni» ed «equità».
Sono queste le premesse che stanno alla base dell’intero accordo di rinnovo e che hanno determinato, in particolare, l’istituzione del «Fondo nazionale per il sostegno dell’occupazione nel settore del credito», con l’obiettivo di incentivare le nuove assunzioni assicurando alle imprese che assumono a tempo indeterminato un vantaggio in termini di riduzione del costo del lavoro.
Il Fondo provvederà infatti ad erogare alle aziende 2.500 euro l’anno per tre anni per ogni lavoratore assunto a tempo indeterminato, apprendisti inclusi; e ciò sia che si tratti di assunzioni ex novo, sia che si tratti invece della stabilizzazione di lavoratori già occupati con altri tipi di contratto (somministrati, contratti di inserimento, a progetto, a tempo determinato). L’unica condizione è che si tratti di giovani disoccupati fino a 32 anni di età; di disoccupati di lungo periodo, cassintegrati e lavoratori in mobilità di qualsiasi età; di donne in aree geografiche svantaggiate.
Si tratta, in buona sostanza, di un ulteriore incentivo che si aggiunge alle agevolazioni fiscali e contributive già previste per gli stessi tipi di assunzione dalla legislazione vigente (ivi incluso il D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, il cosiddetto «decreto salva Italia», contenente “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”).
Le risorse del Fondo potranno essere utilizzate anche nel caso in cui le assunzioni derivino da riduzioni d’orario, volontarie e individuali, di lavoratori in servizio, qualificate – anche ai fini dell’accesso ai benefici previsti dalla legge – come “contratti di solidarietà espansiva”, finalizzati cioè a creare nuova occupazione (ma in questo caso il contributo del Fondo andrà direttamente al lavoratore e non all’azienda).
Il Fondo per l’occupazione è finanziato attraverso le risorse derivanti dalla riduzione di una giornata di permessi retribuiti (ex festività) per i quadri direttivi e di 7 ore e 30 minuti di “riduzione orario” per gli impiegati, nonché attraverso un contributo aziendale di importo pari al 4% della retribuzione fissa del top management delle aziende del settore che, a tale scopo, rinuncia ad incrementi economici.
L’insieme delle risorse così raccolte – riportano i comunicati unitari delle organizzazioni sindacali nazionali del settore – consentirà di finanziare contributi alle imprese per 6.400 nuove assunzioni l’anno nei 5 anni di sperimentazione previsti dall’accordo, per un totale, dunque, di 32.000 assunzioni a tempo indeterminato. Si vedrà però nella fase di attuazione se a queste disponibilità le aziende, e ce lo auguriamo, faranno effettivamente ricorso.
Sempre allo scopo di incentivare le assunzioni a tempo indeterminato è stato introdotto un «livello retributivo di inserimento professionale», prevedendo che per quattro anni (tre anni più uno, si precisa, per non alterare la struttura del contratto di apprendistato) venga corrisposta al neoassunto una retribuzione inferiore del 18% rispetto a quella tabellare; nello stesso periodo l’azienda è tenuta a versare al sistema di previdenza complementare un contributo aggiuntivo pari al 4% della retribuzione.
La previsione di un salario di ingresso ridotto non è di per sé una novità, essendo già stato applicato anche in altri settori, generalmente con riferimento al contratto di apprendistato. Qui l’agevolazione riguarda tutti i contratti a tempo indeterminato qualora l’assunzione avvenga al primo livello della 3a area professionale, incluso il contratto di apprendistato professionalizzante. Va sottolineato che la retribuzione di inserimento si colloca ad un livello accettabile (1.680 euro al mese) e che, diversamente da quanto avviene in altri ambiti (per esempio i nuovi assunti del settore dell’automobile in Nordamerica), si tratta di una riduzione “a termine” e non di una differenza stabile.
Una analoga opportunità di costo del lavoro “agevolato” – sempre a termine, con allineamento entro un periodo massimo di quattro anni – è offerta alle banche che decidano di “riportare in casa”, alla scadenza dei relativi contratti, le attività precedentemente date in appalto. In tal caso, infatti, potranno continuare ad essere applicate ai lavoratori addetti a queste attività le stesse condizioni economiche e normative previste dal contratto nazionale del credito per i contratti complementari (che si applicano attualmente ai lavoratori delle imprese che svolgono in appalto attività complementari e/o accessorie a quelle del credito quali, ad esempio, i servizi di portafoglio e cassa/trattazione assegni, la gestione degli strumenti di pagamento elettronici, il trasporto valori). La riduzione di costo che attraverso questa via si realizza è dell’ordine del 20%.
Di particolare interesse sono anche le modalità con le quali si è provveduto a riconoscere al personale in servizio l’adeguamento della retribuzione all’aumento del costo della vista. Non sono stati previsti, infatti, incrementi dei minimi salariali, ma si è convenuto di corrispondere un elemento distinto della retribuzione (EDR), i cui effetti sul TFR e sugli scatti di anzianità e altre voci di trattamento previdenziale e/o di quiescenza sono stati “sospesi” per circa due anni; alla scadenza del contratto il valore dell’EDR verrà inglobato nei minimi tabellari.
Si è valutato infatti preferibile pagare ai lavoratori direttamente in busta paga un po’ di più (170 euro a regime entro il 2014, intorno al 6% per il livello di inquadramento medio del settore), alleggerendone però gli effetti sul costo totale.
Una scelta ragionevole, che tiene conto della complessità della situazione politica, economico-finanziaria e sociale del momento attuale; certamente meno drastica di una una tantum del tutto priva di effetti sulla retribuzione. Va precisato, peraltro, che il valore dell’EDR è considerato fin da subito retribuzione utile ai fini pensionistici, e quindi verrà incluso nel calcolo in caso di accesso alle prestazioni del Fondo di solidarietà.
3 – È opportuno sottolineare che il «Fondo per l’occupazione», di recente istituzione, è cosa diversa – sia per la missione affidata sia per le fonti di finanziamento – dal «Fondo di solidarietà» costituito nel 2000 per agevolare la gestione delle ricadute sull’occupazione di situazioni di crisi o di ristrutturazione aziendale, e che viene alimentato con contributi prevalentemente a carico delle imprese aderenti e, in misura ridotta, a carico dei lavoratori.
Il «Fondo di solidarietà» ha consentito di mitigare le ricadute sui lavoratori coinvolti in processi di mobilità e di ristrutturazione, provvedendo integrazioni al reddito individuale; già a partire dal 2001 le risorse del Fondo sono state impiegate per evitare il ricorso ai licenziamenti collettivi nonché, sulla base di un accordo aziendale o di gruppo, in caso di dimissioni volontarie anticipate.
Le modifiche normative intervenute in materia pensionistica e l’esigenza di porre un argine ad un eccessivo ricorso alle risorse finanziarie del Fondo, hanno ora indotto le Parti ad intervenire per realizzare una riforma che, da un lato, responsabilizzasse le Parti a livello aziendale ad un maggiore impegno di prevenzione delle tensioni occupazionali attraverso gli strumenti “ordinari” previsti dall’art. 18 del contratto nazionale del credito, e che dall’altro consentisse una riduzione degli oneri economici connessi alla gestione del Fondo.
Il contratto del credito prevede infatti che le imprese – prima di far ricorso agli strumenti di gestione straordinaria delle crisi occupazionali, e quindi prima di accedere al Fondo di solidarietà – cerchino una soluzione attraverso altre misure (interventi sul premio di rendimento, incentivazioni all’esodo anticipato volontario, contratti part-time, contenimento del lavoro straordinario e delle assunzioni, contratti di solidarietà, job-sharing, mobilità interna, distacchi, assegnazione ad altre mansioni, percorsi formativi e di riqualificazione). La logica è evidente: prima di ricorrere agli ammortizzatori sociali si devono esplorare tutte le alternative possibili, anche se di difficile gestione, e non considerare l’accesso al Fondo, soprattutto in caso di esodi agevolati, una pratica e disponibile scorciatoia.
Riaffermato quindi un principio di corretta gestione degli strumenti ordinari e straordinari dei problemi occupazionali, l’accordo di riforma del Fondo di solidarietà stipulato l’8 luglio 2011 (parte integrante del percorso di rinnovo contrattuale) ha ridefinito il valore dell’assegno straordinario erogato dal Fondo, ha stabilito un nuovo regolamento che ne disciplina il funzionamento e le prestazioni e ha delineato il percorso da seguire per ottenere la modifica del decreto istitutivo di competenza ministeriale.
4 – La riduzione dei permessi retribuiti utilizzata per finanziare il Fondo per l’occupazione si collega ad un obiettivo, condiviso tra le Parti, di progressivo allineamento tra orario contrattuale ed orario di fatto: una misura destinata ad aumentare la produttività e la redditività e, nel contempo, a realizzare un riequilibrio dei carichi di lavoro. Ma non è certo l’unica misura prevista a questo scopo.
Più direttamente finalizzate ad accrescere la produttività e la qualità del servizio sono le norme introdotte in materia di orari di lavoro e di apertura al pubblico. L’obiettivo è utilizzare al meglio le risorse di personale disponibili, organizzando gli orari in maniera più articolata, in modo da minimizzare il ricorso al lavoro straordinario e ottenere la flessibilità necessaria ad allinearsi con gli orari dei centri commerciali e di altri servizi che sono aperti al pubblico anche nel fine settimana e/o in orari serali. Vi è, evidentemente, oltre alla volontà di meglio rispondere alle esigenze dei clienti, anche un obiettivo di redistribuzione dei carichi di lavoro e quindi di prevenzione di possibili tensioni occupazionali.
L’orario di sportello potrà essere fissato dall’azienda nella fascia compresa fra le 8 e le 20, con possibilità anche – ma previo accordo con gli organismi sindacali – di anticiparne l’inizio alle 7 e di posticiparne il termine alle 22 (non invece è necessario l’accordo per gli sportelli collocati all’interno di strutture commerciali, per i quali sarà considerata normale la fascia oraria di apertura prolungata localmente in uso). In relazione al prevedibile impatto che le possibili variazioni negli orari individuali potranno produrre sulle abitudini di vita degli operatori è previsto che le aziende, anche qualora non sia necessario l’accordo, informino preventivamente «gli organismi sindacali aziendali o le delegazioni di gruppo» e ne ascoltino le osservazioni entro termini temporali definiti; nel testo del contratto figura anche una raccomandazione diretta alle aziende di assicurarsi «prioritariamente» (sic) la disponibilità dei lavoratori in possesso dei requisiti professionali richiesti.
L’ampliamento degli orari di apertura al pubblico non risolverà, certamente, i problemi di competitività del sistema bancario ed i rischi per l’occupazione, ma è comunque un buon esempio di ciò che il contratto nazionale può fare per dare alle aziende la possibilità di organizzarsi in maniera più efficiente, definendo nel contempo ambiti appropriati per l’interlocuzione sindacale.
Gli orari sono infatti alla base di una buona organizzazione del lavoro e della qualità del servizio alla clientela. È per questo che, nel definire gli assetti contrattuali, le Parti hanno previsto che queste materie possano essere disciplinate a livello aziendale, anche in deroga al contratto nazionale di settore, e che i premi aziendali siano collegati ad effettivi miglioramenti della produttività.
Un «Osservatorio nazionale paritetico sulla produttività» svolgerà un ruolo di raccordo e di monitoraggio sulle innovazioni introdotte, in particolare in merito all’andamento della produttività/redditività del settore, allo stato di attuazione delle previsioni in merito a orari di lavoro e di sportello, nonché sull’utilizzo delle riduzioni di orario, banca ore, ex festività e ferie al fine di verificare che l’allineamento tra orario contrattuale e orario di fatto, assunto come comune obiettivo delle Parti, venga effettivamente realizzato. A tale nuovo organismo le Parti hanno demandato dunque il compito di seguire la fase di attuazione delle intese e di verificare l’efficacia.
5 – Questo rinnovo, come già ricordato, si è sviluppato seguendo un lungo percorso che ha avuto due tappe significative negli accordi del 7 luglio 2010 sul tema delle libertà sindacali e rappresentanza e del 24 ottobre 2011 in materia di assetti contrattuali.
Le materie demandate dal contratto del credito al secondo livello di contrattazione (aziendale o di gruppo) sono il premio aziendale, le garanzie volte alla sicurezza del lavoro, la tutela delle condizioni igienico-sanitarie nell’ambiente di lavoro, l’assistenza sanitaria e la previdenza complementare, le intese in materia di inquadramenti nel rispetto dei limiti definiti dal contratto; su tali temi potranno ora, in base al nuovo accordo, essere previste «norme e/o articolazioni contrattuali» volte ad assicurare «l’adattabilità» delle norme vigenti alle esigenze degli specifici contesti organizzativi; «relativamente alle materie della prestazione lavorativa, degli orari e dell’organizzazione del lavoro» potranno inoltre essere stipulate intese anche modificative di regolamentazioni disciplinate dal contratto nazionale di categoria. L’ampliamento dell’ambito di intervento della contrattazione di secondo livello che è stato apportato è dunque niente affatto trascurabile.
Nell’ipotesi di accordi non sottoscritti da tutte le sigle sindacali, per il settore del credito (il cui contratto nazionale è firmato con sette sigle sindacali, delle quali due sottoscrivono per adesione) sono state definite regole in parte diverse da quelle previste dall’accordo interconfederale del 28 giugno 2011. Qui il contratto nazionale è valido e vincolante se «sottoscritto da organizzazioni sindacali che rappresentino il 55% dei lavoratori iscritti destinatari dell’accordo»; la rappresentatività – che è misurata sulla percentuale degli iscritti rilevata dalle deleghe sindacali – è dunque criterio per la validità dell’accordo stipulato e non solo, come nell’accordo interconfederale, per l’accesso al tavolo negoziale. Per i contratti di secondo livello si stabilisce, poi, che essi «esplicano efficacia nei confronti di tutto il personale dipendente dell’azienda e vincolano tutte le organizzazioni sindacali, ad ogni livello, presenti aziendalmente se gli organismi sindacali legittimati a trattare che li sottoscrivono rappresentano la maggioranza dei lavoratori iscritti» (il corsivo è mio).
Nessun c’è nessun riferimento a organismi di rappresentanza dei lavoratori (r.s.a. o r.s.u.). Le Parti del settore del credito riconoscono solo le r.s.a. e ai relativi organismi di coordinamento ed esclusivamente per le “titolarità” previste dallo Statuto dei lavoratori e disciplinate dal contratto nazionale. Le competenze negoziali al secondo livello di contrattazione vengono riconosciute ad una «delegazione sindacale», costituita a norma del contratto nazionale, e della quale fanno parte rappresentati nominativamente indicati dalle rispettive organizzazioni sindacali. Della «delegazione sindacale» fanno parte due rappresentanti per ciascuna organizzazione sindacale che ha iscritti nell’impresa indipendentemente dalla consistenza associativa, più altri (fino ad un massimo di tre per ciascuna organizzazione) in proporzione al numero degli iscritti; della stessa delegazione, si precisa, possono fare parte anche dirigenti esterni all’azienda (da uno a due, non di più, per ciascuna organizzazione). Una situazione, quindi, piuttosto diversa da quella presupposta dall’accordo del 28 giugno 2011.
Si legge poi nel testo del contratto, sia con riferimento al contratto nazionale che a quello di secondo livello, che le organizzazioni sindacali «dichiarano» l’intendimento di sottoporre alle assemblee dei lavoratori, chiamate ad esprimersi con voto certificato, le piattaforme contrattuali e i contratti stipulati. Un voto tuttavia che sembrerebbe avere il significato e il valore di una mera consultazione dei lavoratori sugli obiettivi e sui risultati del processo negoziale, senza rilievo in merito alla validità degli accordi sottoscritti (nessun richiamo alla necessità di “confermare” con il voto dei lavoratori la capacità rappresentativa degli organismi sindacali). L’unico elemento, dunque, al quale si riconosce valore ai fini della rappresentanza negoziale nel settore del credito è il dato associativo, ossia la numerosità degli iscritti misurata attraverso il numero delle deleghe sindacali.
Un’ultima annotazione. Nell’inserire nel contratto una clausola di tregua sindacale, le Parti hanno previsto che in caso di violazione della stessa da parte sindacale si applichino – a carico dei sindacati responsabili e previo esame della situazione tra le Parti a livello nazionale – le medesime sanzioni previste dalla legge 146 del 1990 (art. 4, comma 2) in materia di sciopero nei servizi pubblici essenziali con riguardo ai contributi sindacali; non sono invece previste sanzioni disciplinari a carico dei singoli lavoratori (art. 4, comma 1).
Marianna De Luca