di Fernando Liuzzi
“Unità vo cercando.” Si può sintetizzare così quello che Susanna Camusso ha detto e ha fatto nel corso del 17° Congresso della Cgil, conclusosi a Rimini nella serata di giovedì 8 maggio. Infatti l’unità, antica parola d’ordine del movimento dei lavoratori, è l’idea forza attorno a cui Camusso, che ieri sera è stata rieletta Segretario generale della maggior confederazione sindacale italiana, ha impostato la sua azione politica in tre direzioni. Primo: i rapporti con Cisl e Uil, le altre due grandi confederazioni sindacali che, assieme alla Cgil, compongono quella realtà che viene chiamata sindacalismo confederale. Secondo: i rapporti politici interni alla Cgil. Terzo: l’azione sindacale volta a ricondurre a una qualche unità un mondo del lavoro sempre più variegato e frammentato.
E’ riuscita, sta riuscendo Susanna Camuso a raggiungere gli obiettivi che si è data? Si e no. Infatti, di fronte a questa domanda bisogna dare una risposta articolata.
Cominciamo dai rapporti con Cisl e Uil. Qui l‘azione di Camusso ha registrato i maggiori avanzamenti. Si tenga presente che la sindacalista milanese è diventata segretario generale della Cgil nel 2010, ovvero nell’anno successivo al 2009, quello della rottura sul sistema contrattuale fra le tre maggiori confederazioni e dell’isolamento della Cgil, perseguito dall’azione politica del governo Berlusconi interpretata, con indubbia efficacia, dall’allora ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. Ebbene, “dal 2009 al 2013 – ha detto Camusso nella Relazione introduttiva al Congresso, tenuta nella mattinata di martedì 6 maggio – la nostra fatica è stata la riconquista delle regole di una contrattazione che era stata sottratta alla libera decisione dei lavoratori e delle lavoratrici, per esercitarsi negli accordi separati”. Con caparbietà e costanza tutte femminili, e senza lanciare proclami o cercare particolari visibilità, la Camusso leader della Cgil ha perseguito il suo duplice obiettivo: ridefinire regole condivise per la contrattazione e quindi, necessariamente, ricostruire un rapporto unitario con Cisl e Uil. Il tutto privilegiando il tentativo di risolvere l’annosa questione della rappresentanza sindacale, ovvero del chi contratta a nome di chi.
Di tappa in tappa, Camusso si è avvicinata ai suoi obiettivi: 28 giugno 2011, 31 maggio 2013, 10 gennaio 2014. Questi gli accordi sulle regole della contrattazione e della rappresentanza via, via raggiunti dalla Cgil a guida camussiana non solo con Cisl e Uil, ma anche con Confindustria. E tutto ciò mentre la reiterata richiesta che i governi italiani – via, via succedutisi in questi anni – dotassero il sistema-paese di una politica industriale degna di questo nome, veniva declinata con accenti sempre più simili non solo dai tre sindacati, ma dalla stessa Confindustria.
Gli interventi tenuti a Rimini da Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, rispettivamente leader della Cisl e della Uil, nel pomeriggio del 6 maggio, hanno quindi costituito il coronamento provvisorio dell’azione svolta da Camusso su questo terreno. Alla fine del suo primo mandato da segretario generale della Cgil, e all’inizio del secondo, Camusso può legittimamente rivendicare di aver dato un contributo importante, se non decisivo, alla ricostruzione di un clima di interlocuzione positiva fra i tre maggiori sindacati.
Clima al cui miglioramento, sia detto di passaggio, il governo Renzi sta dando un non ricercato contributo. La freddezza mostrata da Renzi verso i rapporti fra esecutivo e corpi intermedi, o, se preferite, lo scarso peso che Renzi ha attribuito fin qui alle organizzazioni della rappresentanza sociale, hanno creato un avversario comune a Cgil, Cisl e Uil. E avere un avversario in comune, si sa, unisce.
Veniamo adesso ai rapporti interni alla Cgil. Qui l’azione di Susanna Camusso ha subìto – non solo a Rimini, ma già nel corso del processo congressuale – una evidente battuta d’arresto. Nella seconda metà del 2013, Camusso aveva compiuto ogni sforzo per portare un gruppo dirigente della Cgil almeno relativamente unito di fronte ai lavoratori partecipanti alle assemblee congressuali. E il fatto che Giorgio Cremaschi, con la sua piccola minoranza della cosiddetta Rete 28 aprile, non avesse accettato tale proposta unitaria, non era poi un gran danno. La cosa importante era che Rinaldini e Landini, gli animatori della posizione di minoranza nel Congresso del 2010, avessero accettato di sottoscrivere il documento Camusso. Ma, come si è ben visto, si trattava di un patto unitario scritto sull’acqua.
A partire dall’intesa del 10 gennaio – quella che ha consentito a Cgil, Cisl , Uil e Confindustria, di mettere a punto il Testo Unico sulla rappresentanza – le distanze fra maggioranza Fiom, guidata da Maurizio Landini, e Cgil camussiana sono tornate a crescere a vista d’occhio. Un processo che ha visto il suo culmine proprio nel congresso di Rimini quando, mercoledì 7 maggio, Landini è arrivato ad accusare Camusso di aver usato la costruzione di nuovi rapporti con Cisl e Uil come strumento per tarpare l’articolazione del dibattito in Cgil. Ed ha quindi formalmente presentato, assieme a Gianni Rinaldini e Nicola Nicolosi (quest’ultimo schierato nel 2010 con Guglielmo Epifani), una terza lista di candidati al Comitato Direttivo, distinta da quelle dei seguaci di Camusso e Cremaschi.
Per adesso, quindi, niente unità interna alla Cgil. Va anzi registrato un inasprirsi dei toni e un frammentarsi dei gruppi e gruppuscoli variamente schierati “a sinistra” di Susanna Camusso. Infatti, Giacinto Botti e altri esponenti di Lavoro-Società, la piccola area capeggiata da Nicolosi, non hanno seguito lo stesso Nicolosi nel suo approdo “landiniano”, e sono rimasti in maggioranza.
E qui c’è un evidente paradosso. Sui media, e specie in televisione, Landini si presenta come il rinnovatore, o meglio come una specie di rottamatore sindacale in guerra contro le incrostazioni burocratiche che bloccano il corpaccione della Cgil. In realtà, la sua opposizione a Camusso ha finito per dare vita a un gioco politico tutto interno ai gruppi dirigenti e di scarso interesse per i lavoratori. Camusso, nelle conclusioni tenute l’8 maggio, ha quindi potuto difendere agevolmente il modello di democrazia esistente in Cgil – basato sulla partecipazione di cerchie più ampie possibili non solo di funzionari, ma soprattutto di delegati e lavoratori – contro il modello “renziano” vagheggiato da Landini. Le primarie per scegliere il segretario generale, ha sostenuto Camusso fra gli applausi del Congresso, concentrano attenzione e potere nella figura del leader, del segretario generale, mentre la Cgil avrebbe, semmai, bisogno di fare il contrario: ridistribuire i poteri verso le strutture decentrate e verso i delegati, intesi come protagonisti della contrattazione territoriale e aziendale.
Rimarrebbe adesso da esaminare il terzo filone dell’iniziativa di Susanna Camusso: quello che rinnova l’antica ambizione sindacale di unire il mondo del lavoro. Un obiettivo particolarmente difficile da raggiungere perché, come Camusso ha sostenuto diffusamente nella sua relazione introduttiva, la crisi esplosa nel 2008 ha frammentato e riarticolato filiere e cicli produttivi.
Dei tre terreni d’azione fin qui citati, questo è indubbiamente quello che suscita in Susanna Camusso l’interesse più vivo. E la cosa non è certo sbagliata perché, dopo tutto, il sindacato è nato proprio per questo: offrire a chi vive o vorrebbe vivere del proprio lavoro una rappresentanza generale e unitaria. Camusso mostra di ritenere che la riarticolazione di cicli e filiere dovrebbe spingere il sindacato a ripensare a molte delle sue idee tradizionali, rivedendo, ad esempio, la distinzione tra manifattura e servizi, o quella tra lavoro dipendente e non. Sono temi di prospettiva, su cui il Congresso ha avviato dei ragionamenti, più che aver messo a punto precise linee d’azione.
Camusso, insomma, avverte l’urgenza di imboccare nuove strade, sia organizzative che contrattuali, ma non si ha l’impressione che tutto il gruppo dirigente sia già sintonizzato su questa lunghezza d’onda. A ciò si aggiunga che nella Conferenza di programma del gennaio 2013, la Cgil aveva messo a punto una proposta di politica economica e, assieme. di iniziativa sindacale, lanciata tornando a utilizzare la suggestiva denominazione di Piano del lavoro. Proposta che, in estrema sintesi, preconizzava una politica economica volta a mettere in moto una nuova fase di sviluppo. Ora l’incerto quadro di politica economica fin qui tracciato dal governo Renzi non sembra offrire alla Cgil una solida sponda politica cui appoggiarsi per marciare in questa direzione. E ciò mentre, come è noto, è più facile unire i lavoratori dentro una fase di sviluppo, che in una situazione di crisi grave e prolungata come quella ancora in corso.
Le difficoltà, insomma, sono molte. Per la Cgil di Susanna Camusso ci sarà quindi molto lavoro da fare per superarle.