La Aermec di Bevilacqua (Verona) è una grande azienda, leader mondiale nei climatizzatori, ha circa 900 dipendenti, un fatturato in costante crescita. E vorrebbe crescere ulteriormente, ma si scontra con un ostacolo al momento insormontabile: la difficoltà, se non l’impossibilità, di trovare personale. Entro la fine dell’anno, spiega il presidente Alessandro Riello, c’è la necessità assoluta di assumere almeno altre cinquanta persone. Ma, dice, non c’è modo di trovarle.
Riello, cinquanta persone non sono tantissime, come è possibile che non si riescano a trovare, nel pur popoloso nord est?
Sembra paradossale, ma è così. Abbiamo superato le difficoltà dovute alla pandemia, poi, con la ripresa, abbiamo dovuto fare i conti con la carenza di materie prime, la difficolta’ negli approvvigionamenti, l’aumento di tutti i costi; e adesso che tutto potrebbe finalmente andare per il meglio, siamo alle prese con la mancanza di personale, che ci sta mettendo ancora più in difficoltà di tutto il resto. In azienda abbiamo le persone che vanno in pensione e non riusciamo a sostituirle. Quest’anno avevamo bisogno di fare almeno 100 assunzioni. Con sforzi enormi siamo riusciti a trovarne 40, ma per le nostre esigenze produttive entro la fine del 2023 ce ne occorrono minimo altre 50. E le assicuro che non sappiamo dove sbattere la testa.
Ma è un problema di competenze che mancano, o cosa?
Siamo un’azienda elettro meccanica, effettivamente abbiamo un processo produttivo che richiede certe competenze, e in genere le cerchiamo a partire almeno dai diplomati. Attualmente, però, considerando le enormi difficoltà di reperire figure adeguate, abbiamo allargato le maglie, cercando anche tra i non diplomati, a qualunque livello di formazione, anche bassa. Ma ugualmente non troviamo.
Secondo lei per quale motivo?
C’è qualcosa che non funziona nel sistema. La mia sensazione è che si sia un po’ persa l’idea del valore del lavoro, soprattutto tra i giovani. So che sembra sbrigativo dire che non hanno più voglia di lavorare, e però, quando davanti all’ipotesi di fare ogni tanto un sabato lavorativo ti rispondono ‘allora no, grazie’, cosa devo pensare? Nella nostra azienda si lavora cinque giorni a settimana, ma capita che ci siano picchi di produzione per cui viene chiesto del lavoro straordinario il sabato. Non è possibile che questo sia un ostacolo, un impedimento insormontabile ad accettare il lavoro.
Sa cosa si dice, vero? Che il reale problema per cui le aziende non trovano da assumere sono le retribuzioni troppo basse. Che se pagassero il giusto troverebbero. Tanto che si sta lavorando per un salario minimo legale.
Io penso che salario minimo sia una cosa più che giusta per tutti quei settori, e sono tanti, dove c’è sfruttamento e paghe basse che non possono essere più tollerate. Ma certo non riguarda noi: all’Aermec applichiamo il contratto dei metalmeccanici, dove la paga oraria è già molto superiore ai 9 euro del salario minimo, contratto che peraltro, come è noto, ha appena avuto a giugno un consistente aumento. Inoltre, il contratto definisce il salario base, ma poi abbiamo ovviamente i superminimi e un premio di produzione annuale di circa 2600 euro, che al netto corrisponde a un’altra mensilità abbondante. Anche gli straordinari vengono pagati tutti regolarmente, in base al contratto. E ogni anno rivediamo i livelli di inquadramento, riconoscendo livelli superiori e superminimi in base al merito, in modo da valorizzare costantemente le persone e la loro professionalità. Aggiungo che la sede aziendale è confortevole, climatizzata, e con una buona mensa di cui ci assumiamo la gran parte del costo. Perché siamo convinti che chi sta a suo agio lavora meglio.
Dalla sua descrizione sembrerebbe una azienda attrattiva. Possibile che vi snobbino così?
Infatti noi pensavamo di essere un’azienda molto attrattiva: ma evidentemente non lo siamo abbastanza per questi tempi. Le faccio un esempio concreto?
Prego.
Siamo andati a presentare l’Aermec presso un istituto tecnico, in un’ottica di futuro recruiting. C’erano 150 ragazzi del quinto anno, e prima della presentazione abbiamo distribuito a tutti un modulo da compilare per chi fosse interessato a un colloquio in azienda. Sa quanti ne abbiamo raccolti alla fine? Quindici. Il dieci per cento dei presenti. L’altro 90 per cento lo ha cestinato.
A cosa attribuisce questo atteggiamento?
Come le ho detto, c’è qualcosa che si è inceppato da qualche parte. Noi siamo una azienda che crede nel suo territorio, che lo rispetta. Ai tempi del Covid abbiamo messo in atto misure di sicurezza rigorose per i nostri lavoratori, tanto che non abbiamo avuto alcun cluster. Abbiamo aperto un centro vaccinale, non solo per i nostri, ma aperto anche al pubblico esterno. Questo per dire che crediamo nel valore del lavoro, ma anche della persona. Ma oggi forse c’è poca educazione nei confronti dei giovani, sia da parte della scuola che delle famiglie. E certi valori, come quello del lavoro, non vengono più insegnati da nessuno.
Ma qualcuno viene comunque a fare i colloqui. Come si svolgono?
In un modo alquanto bizzarro. Tendenzialmente, i ragazzi arrivano accompagnati dalle madri. Che rispondono al loro posto. Infatti adesso abbiamo chiesto che si presenti il candidato da solo, senza accompagnatori. Ci sono stati colloqui nei quali la genitrice pretendeva di trattare lei l’inquadramento del figliolo. E se non era quello che esigeva, niente da fare, se lo riportava a casa. Ma se faccio un colloquio per una posizione in officina, non mi si può chiedere di passare tassativamente entro tre mesi all’amministrazione.
Sembrano scene inventate, lo sa? Da sit com Tv.
Lo so, ma è tutto vero. È con questa situazione che facciamo i conti ogni giorno.
Comunque non c’è nulla di male se un ragazzo vuole fare carriera…
Certamente: infatti abbiamo diversi dirigenti che hanno iniziato qui come operai. Ma ogni cosa con i suoi tempi.
Si dice che anche la demografia giochi contro la disponibilità di capitale umano. Sempre più vecchi, sempre meno giovani. Lei che ne pensa?
Sicuramente la demografia pesa e peserà, ma ancora non siamo in un deserto: i giovani ci sono, solo che non hanno più quella cultura del lavoro che aveva la nostra generazione. Anche in azienda io vedo che il senso di appartenenza riguarda solo le persone più anziane, per i giovani non conta nulla. Guardi, le dico un’altra cosa, e mi rendo conto può prestarsi a polemiche: io credo che una responsabilità in tutto questo ce l’abbiano, oltre alla scuola che non prepara alla vita, e alle famiglie eccessivamente protettive, anche i social, che hanno distorto la mentalità dei giovani. Troppi ragazzi credono davvero che il modo più rapido per fare soldi sia quello di diventare influencer su qualche social, e dunque disdegnano il lavoro ‘comune’.
Da’ un giudizio molto severo nei confronti delle nuove generazioni.
Non voglio dire che siano tutti così, assolutamente: ci sono anche, per fortuna, tanti giovani che hanno voglia di fare, e di farsi strada. Ma credo che da questa situazione si uscirà solo quando al lavoro tornerà ad essere attribuito quel valore che merita. Altrimenti questo paese non avrà un grandissimo futuro.
E per la vostra ricerca di personale, intanto, come farete?
Noi non ci arrendiamo: continueremo a cercare, e cercare, e cercare ancora.
Nunzia Penelope