Dopo sette anni di ininterrotta crisi economica, la Cgil, il più grande sindacato italiano, vive giorni difficili. Il che è ovvio se si considerano i colpi che la crisi globale ha arrecato al nostro sistema produttivo. Migliaia di posti di lavoro sono stati cancellati, le ore di Cassa integrazione erogate sono cresciute a dismisura, mentre i redditi di molti lavoratori dipendenti sono al palo, in parte come conseguenza dei due fenomeni appena citati, in parte per il blocco contrattuale imposto dagli ultimi Governi ai rinnovi del pubblico impiego.
Questo sul piano economico. Sul piano politico, i rapporti col Governo Renzi, nonostante quest’ultimo sia l’espressione di una maggioranza di centro-sinistra, sono ai minimi termini. Diritti storici dei lavoratori, conquistati fra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, sono stati, se non azzerati, quanto meno fortemente ridotti in termini di efficacia.
Per quanto riguarda poi le relazioni industriali, è bensì vero che con la Confindustria è stato raggiunto, il 10 gennaio 2014, un importante accordo unitario in materia di rappresentanza sindacale, ma le rispettive idee rimangono molto lontane per ciò che riguarda i prossimi rinnovi dei contratti nazionali di lavoro, a partire dallo stesso modello contrattuale cui tali rinnovi dovrebbero ispirarsi.
Tuttavia, queste molteplici difficoltà, con cui la Cgil deve confrontarsi ogni giorno, hanno sì ridotto la capacità sindacale di rappresentare i lavoratori in termini acquisitivi o anche solo difensivi, ma, contrariamente a quanto è stato affermato anche di recente, non hanno intaccato la forza organizzativa della Confederazione.
E’ quanto ha sostenuto Nino Baseotto nella relazione introduttiva con cui, giovedì 17 settembre, ha aperto, a Roma, i lavori della Conferenza di organizzazione della Cgil. Baseotto, che nella segreteria confederale è, appunto, il responsabile delle Politiche organizzative, ha infatti fornito una serie di dati da cui emerge che la crisi con cui il maggior sindacato italiano deve confrontarsi non è, almeno ancora, una crisi organizzativa.
Polemizzando aspramente con un servizio pubblicato dal quotidiano “La Repubblica” a metà agosto, e che ha poi avuto vasta eco mediatica, Baseotto ha innanzitutto negato che, quest’anno, la Cgil abbia perso 700mila iscritti rispetto al 2014. Baseotto ha infatti, giustamente, ricordato che non si possono fare confronti tra i risultati conseguiti dal tesseramento nei primi 6 mesi di un anno, in questo caso il 2015, e quelli registrati al 31 dicembre dell’anno precedente. Per sapere come andrà il tesseramento dell’anno in corso, aggiungiamo noi, bisognerà ovviamente aspettare il consuntivo che, come di consueto, sarà disponibile non prima della primavera dell’anno successivo (in questo caso, non prima del marzo 2016).
Detto questo, che può apparire come un’osservazione corretta ma, sostanzialmente difensiva, Baseotto ha però anche fornito dei dati interessanti per valutare con cognizione di causa le tendenze del tesseramento alla Cgil in questi anni di crisi. Innanzitutto, Baseotto ha ricordato un dato noto agli esperti di organizzazione, ma assai meno noto nel largo pubblico. Ci riferiamo al fatto che il turn over, cioè il ricambio, degli iscritti alla confederazione di corso d’Italia è pari al 20% su base annua. Ora, dal momento che la Cgil ha più di 5 milioni di iscritti (5.616.340 al 31 dicembre 2014), ciò equivale – ha sottolineato Baseotto – a più di un milione di persone: “lavoratori o lavoratrici che perdono il lavoro o lo cambiano, andando a lavorare magari in aziende di piccole dimensioni dove l’iscrizione al sindacato non è semplice.”
“Eppure – ha detto ancora Baseotto – dal 2008 a tutto il 2013 gli iscritti sono costantemente cresciuti, mentre abbiamo registrato lo scorso anno una flessione molto contenuta.” In ogni caso, “il saldo tra iscritti 2008 e iscritti 2014 resta positivo, con un + 15.739”.
Questo, per ciò che riguarda le cifre assolute. Per quanto riguarda, invece, il rapporto percentuale fra iscritti alla Cgil e totale degli occupati, Baseotto ha messo in luce due aspetti. Primo: “nel 2014, tra gli occupati dipendenti, la Cgil organizzava il 14,54% del totale, contro il 13,95% del 2008”. Secondo: sempre “dal 2008 al 2014, mentre la base occupazionale in Italia è calata del 4%, gli iscritti alla Cgil tra gli attivi sono aumentati dello 0,6%”. Baseotto ha poi sottolineato che mentre gli occupati nel terziario, sempre nel periodo 2008-2014, sono aumentati del 3,2%, gli iscritti alla Cgil nel settore sono cresciuti del 28,4%.
La relazione ha poi istituito un raffronto fra i dati forniti dall’Istat in relazione a determinati raggruppamenti di lavoratori e quelli del tesseramento Cgil. Emerge così, innanzitutto, che “tra gli attivi iscritti, il 42% sono donne”, esattamente come accade rispetto al totale degli occupati. I lavoratori under 35, invece, sono il 22,6% degli occupati e solo il 18% degli iscritti. Per quanto riguarda poi gli immigrati, le cose per la Cgil vanno meglio: qui si registra un 15,5% degli iscritti contro il 10,3% sul totale degli occupati. Infine, i lavoratori a vario titolo definibili come precari, e cioè “tipici, atipici e partite Iva individuali”, ammontano al 17% degli occupati, ma costituiscono solo il 4% degli iscritti alla Cgil.
“Questi dati – ha quindi osservato Baseotto – ci dicono che abbiamo uno spazio importante” per far crescere il tesseramento “tra gli under 35” e che, soprattutto, la Cgil deve “lavorare di più e meglio tra i precari”.
@Fernando_Liuzzi