L’effetto della crisi sull’economia e’ equiparabile a quelli di una guerra, e quindi non resta, per il momento, che calcolare i danni collaterali. Che sono tanti, e pesanti. Il conteggio lo fa la Confindustria, nell’ultimo rapporto del centro studi per il 2013. Per usare le parole di Giorgio Squinzi, ‘’la verità sta nei numeri’’: e dunque, alla faccia di chi parla di ‘’ripresa in vista’’ (e qui il presidente di Confindustria si rivolge espressamente al premier Enrico Letta) ecco cosa dicono le cifre. Rispetto ai livelli pre crisi, abbiamo perso quasi 10 punti di Pil, i consumi delle famiglie sono calati dell’8%, gli investimenti (e qui, invece, toccherebbe agli imprenditori fare una riflessione) di quasi il 28%. E ancora: l’occupazione ha lasciato sul terreno il 7,2%, tornando ai livelli del 2000; la produzione industriale subisce un’amputazione pari a quasi il 25%, e occorre retrocedere fino al 1986 per trovare cifre così basse. Ma questo massacro lo pagano direttamente sugli italiani, e ce lo dicono le ultime due cifre: 3 milioni e mezzo di disoccupati in più, e 3 milioni di poveri in piu’, rispettivamente più 92% e piu’ 122% rispetto al periodo prima della crisi. Un quadro che, secondo Luca Paolazzi, direttore del Centro studi, non consente di parlare di ripresa: termine ‘’improprio’’ non solo perché, al momento, non e’ alle viste, ma, soprattutto perché, anche quando arriverà, non ci riporterà mai alla situazione precedente alla crisi. ‘’Quelle che stiamo sperimentando non sono normali fasi di un ciclo economico, ma cambiamenti strutturali che posizionano il nostro paese su basi e traiettorie più basse e diverse’’. Dunque, meglio cambiare lessico e abituarsi fin d’ora a parlare di “nuova era” e “ricostruzione’’. Cosi’ Paolazzi, che illustra, infatti, la risalita di fiducia e di incrementi di attivita’ delle imprese. Ma Squinzi va oltre: “mentre gli imprenditori lottano per tenere aperte le aziende, il paese sembra non reagire e la politica non sentire’’. Ma se la la politica continuera’ a non dare risposte, in prospettiva altri effetti ancora peggiori potrebbero arrivare: “la situazione e’ foriera di gravi tensioni sociali, la stessa democrazia e’ a rischio”. Da tempo, insiste Squinzi- la Confindustria afferma che la situazione e’ grave: “ i nostri rapporti parlano chiaro, e dunque nessuno potra chiamarsi fuori, dire ‘non lo sapevo’.Ma per la politica il messaggio sembra non pervenuto, e questo crea un perfetto terreno di coltura per l’antipolitica’’.
Sotto accusa c’e’, innanzi tutto, la legge di stabilita’. Gli imprenditori, ricorda Squinzi, avevano fatto alcune richieste, ma “le scelte finali non sono state confortanti’’. Le imprese continuano ad essere considerate solo ‘’un bancomat’’ dal quale attingere senza sosta; a partire dall’odiata Irap, ‘’attraverso la quale sono proprio le imprese a reggere il peso della spesa sanitaria pubblica’’. Ma non solo. Alcune delle ultime giravolte della legge di stabilita’, prosegue il leader di Confindustria, sono talmente surreali da non essere spiegabili: ‘’l’ultima perla e’ quella che mette a repentaglio il fondo di garanzia per le piccole e medie imprese. Una scelta che non ha alcun senso’’.
Il rapporto del centro studi elenca punti di forza e di crisi del nostro paese. Nulla di particolarmente nuovo: nella lista dei buoni ci sono la competitivita’ delle imprese, che pur penalizzata dal Clup (costo del lavoro per unita’ di prodotto) e’ stata favorita da una buona domanda potenziale, dalle crescente qualita’ dei prodotti e dal rafforzamento della posizione nelle catene globali del valore. Nella lista dei ‘cattivi’ ci sono burocrazia, lentezza della giustizia, costo del lavoro, e via dicendo. Particolarmente degna di nota una tabella in cui si illustra la risalita dell’evasione fiscale: che, guarda caso, viaggia in parallelo con l’aumento della pressione fiscale stessa. Il fenomeno si puo’ spiegare in due modi, e cioe’: affermando che la pressione fiscale eccessiva incentiva l’evasione oppure che proprio l’evasione e’ la ragione di una pressione fiscale eccessiva, dovuta alla necessita’ di colmare i buchi che le risorse sottratte dagli evasori lasciano nei conti pubblici. Ma sarebbe come pretendere di accertare se sia nato prima l’uovo, o la gallina. Infine, da Confindustria arrivano parole molto chiare anche su alcuni temi di discussione ( e di accese polemiche) di queste settimane: no all’uscita dall’euro, no a elezioni nel 2015, si’ al taglio dei costi della politica, si alla spending review. E si, soprattutto, alle riforme istituzionali: ‘’che vanno fatte con l’accordo di tutti –ammette Squinzi- ma questa non puo’ essere la scusa per rinviarle ancora indefinitamente”.
Nunzia Penelope