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Draghi tra bastone e carota

Tommaso Nutarelli
Luglio20/ 2022

Il bastone e la carota. Il presidente del Consiglio Mario Draghi li usa entrambi nel sul discorso al Senato, dopo che lo scorso giovedì aveva consegnato le dimissioni al Presidente della Repubblica. La carota è il riconoscimento alla classe politica dei risultati ottenuti da questo governo fino a quando il patto di fiducia che sorreggeva l’attuale maggioranza è durato. “Il merito di questi risultati è stato vostro, della vostra disponibilità a mettere da parte le differenze e lavorare per il bene del Paese, con pari dignità, nel rispetto reciproco”, afferma Draghi con forza.

I risultati ai quali fa riferimento dell’ex numero uno della Bce sono le ottime performance dell’economia italiana nel 2021, con il Pil al 6,6%, e il rapporto tra debito pubblico e Pil sceso di 4,5 punti percentuali, senza dimenticare il cammino del Pnrr, che ha già portato nelle casse di Roma 46 miliardi di euro, e le riforme della giustizia, del fisco, della concorrenza e degli appalti, indispensabili per l’ammodernamento del paese. L’Italia, ha scandito il premier, è forte quando sa essere unita. Una comunione di intenti riscontrata non solo nelle istituzioni, ma a tutti i livelli della società civile. “Mai come in questi momenti sono stato orgoglioso di essere italiano”, ha dichiarato il presidente del Consiglio. Una capacità di fare squadra che ha avuto in suoi effetti anche sulla scena internazionale, che ha permesso all’Italia di rispondere con forza all’invasione russa dell’Ucraina, a ricercare con rapidità ed efficacia un’autonomia dal gas Mosca.

Il bastone Mario Draghi lo tira fuori per sferzare i partiti nel momento in cui, al bisogno di coesione da parte dei cittadini, hanno mettendo davanti le proprie diversità e divergenze. Le concessioni balneari, la riforma del Consiglio superiore della magistratura e del catasto sono state le prime avvisaglie della rottura di questo patto di fiducia. La bocciatura di nuovi scostamenti di bilancio è stata una bocciatura rivolta alla Lega, così come al partito di Salvani non sono piaciute la citazione delle proteste dei taxisti, o le parole ritenute troppo dolci che il premier ha rivolto al reddito di cittadinanza. E non è mancata la stoccata, non diretta ma neanche tanto velata, alla decisione dei Cinque Stelle di non votare la fiducia al decreto Aiuti. “Non votare la fiducia a un governo di cui si fa parte è un gesto politico chiaro, che ha un significato evidente. Non è possibile ignorarlo, perché equivarrebbe a ignorare il Parlamento. Non è possibile contenerlo, perché vorrebbe dire che chiunque può ripeterlo. Non è possibile minimizzarlo, perché viene dopo mesi di strappi ed ultimatum”.

In altre parole il banchiere venuto da Bruxelles non ci sta ad essere tirato per la giacchetta, avendo bene in mente il percorso politico che dovrebbe avere la maggioranza fino alla fine della legislatura. In questo elenco di “non”, Draghi afferma, anzi riafferma la centralità del Parlamento, riaccendendo il ricordo del nonno al servizio delle istituzioni. Lo strappo voluto dai pentastellati è un passaggio che non può essere derubricato ne messo nel dimenticatoio, perché vorrebbe dire mettere il governo sotto il possibile e costante ricatto dei partiti.

Ma se Draghi si presenta davanti al Parlamento per provare a riscostruire quel rapporto di fiducia venuto meno, è perché a chiederlo sono gli italiani, attraverso i tanti appelli venuti dal mondo delle associazioni, delle professioni, dell’economia e del terzo settore. È al termine del suo discorso che Draghi rilancia la palla, o la sfida, alle forze politiche. L’Italia necessità di un patto di fiducia sincero, non di facciata, che non si sfalda davanti alle prime difficoltà. “I partiti e voi parlamentari siete pronti a ricostruire questo patto? Siete pronti a confermare quello sforzo che avete compiuto nei primi mesi, e che poi si è affievolito?”, chiede il banchiere venuto da Bruxelles guardando gli scranni parlamentari.

Tommaso Nutarelli

Tommaso Nutarelli

Redattore de Il diario del lavoro.