Il nuovo esecutivo guidato da Giorgia Meloni si appresta ad affrontare uno dei capitoli più spinosi della legislatura, prospettando interventi in materia fiscale che dovrebbero venire incontro alle legittime aspettative di cittadini e imprese.
Riformare il fisco sembra una mission impossible per questo paese e per i tanti governi che si sono succeduti, che pure hanno tentato, ma mai sono riusciti, per preferire interventi, a volte anche a gamba tesa, che avevano il primario intento di soddisfare i bisogni di alcuni, facendo perdere all’impianto normativo la sua iniziale coerenza.
Sarà colpa del tempo che una riforma di questo genere richiede, oppure dipenderà forse dalla complessità della materia che per essere affrontata ha bisogno di qualcosa in più di una dichiarazione d’intento. È proprio di questi giorni la pubblicazione dell’impianto di un nuovo progetto organico di riforma fiscale che si pone obiettivi sfidanti e molto ambiziosi, a partire da quello di pesare meno per i contribuenti e di perseguire una maggiore equità, con un cambio di approccio alla base del rapporto tra stato e contribuenti basato su fiducia e collaborazione più che sul sospetto e la conflittualità. Una vera rivoluzione, sotto questo aspetto, di cui si avverte da tempo un grande bisogno.
Anche, ma non solo, per questa refrattarietà alle riforme importanti, oggi dobbiamo fare i conti con un mastodontico debito pubblico e tassi di evasione fiscale assolutamente inconcepibili in una democrazia compiuta, ancor prima che moderna.
La fotografia del paese che emerge dall’autorevole rapporto di “Itinerari Previdenziali” sui dati 2021, presentato nei mesi scorsi al Cnel insieme a Cida, riporta un’immagine grottesca, quanto impietosa: quasi la metà degli italiani (il 49,15%) non dichiara redditi, tra i versanti è l’esiguo 12,99% dei contribuenti con redditi dai 35 mila euro in su a corrispondere da solo il 59,95% dell’imposta sui redditi delle persone fisiche.
Viene da dire che sono sempre i soliti a pagare, insomma, mentre gran parte del paese si muove in bilico tra evasione ed elusione, utilizzando ampiamente e spudoratamente i servizi pubblici a cui non contribuisce.
Bisogna tener conto di questi numeri prima di mettere mano alla revisione delle aliquote. Idem se si tratta di rivedere la matassa indistricabile di deduzione e detrazioni fiscali.
La semplificazione, infatti, è un obiettivo da perseguire se aggiunge equità al sistema. Non certo se dietro di essa si nasconde la stessa, grande beffa in chiaro che conoscono a proprie spese i contribuenti, tra cui primeggiano i lavoratori dipendenti e, in particolare, quelli a reddito più elevato che svolgono il loro impegno con competenza e alto senso di responsabilità assumendosi il rischio delle decisioni, ma non sono ricchi.
Tra i tartassati per antonomasia, infatti, ci sono proprio i manager che la nostra Federazione rappresenta e che sono l’asse portante nelle strutture dei sistemi più organizzati, stanchi di essere gravati di un opprimente carico fiscale, ma non di certo rassegnati a che l’Italia rimanga insabbiata nell’iniquità.
Dal Governo auspichiamo quindi una decisa inversione di rotta, rispetto a fallimentari esperienze del passato, che si sostanzi in un testo definitivo della riforma capace di incentivare il sistema produttivo, dare ossigeno alle famiglie e contrastare l’esercito di furbetti che sottrae risorse al Paese.
E se è probabilmente necessario preservare criteri di progressività almeno in questa prima fase con l’obiettivo di puntare davvero a risanare i conti pubblici, non si può pensare certamente di continuare a gravare ulteriormente chi già paga tanto, troppo, non solo in termini relativi ma anche assoluti, ricevendo spesso in contropartita un livello di servizi inadeguato.
Così come non si può pensare di dare energia nuova alle tante Pmi che caratterizzano il nostro tessuto industriale se una fetta cospicua di quanto faticosamente realizzato deve essere destinata alla voce ‘imposte.
È anche e soprattutto dal fisco che bisogna ripartire se si intende davvero creare lavoro, garantire pensioni dignitose e un equilibrato turnover generazionale. Ma serve vera equità cominciando a snidare chi non assolve al proprio dovere fiscale e riceve impunemente servizi di cui altri si fanno carico. In fondo non dovrebbe essere nemmeno così complesso, considerando la mole enorme di informazioni di cui si dispone, facendo parlare tra loro le diverse banche dati esistenti. Occorre semplicemente volerlo fare, per evitare di concentrare il carico fiscale sui soliti noti che, peraltro, sono sempre di meno.
Da manager siamo sempre pronti a fare la nostra parte come contribuenti per aiutare chi ne ha bisogno, ma vorremmo continuare a farlo per chi ne ha davvero bisogno. Siamo quindi disponibili una volta di più, a metterci a disposizione delle istituzioni per contribuire, con il nostro peculiare know-how, a definire una riforma del fisco finalmente all’altezza di un’Italia ambiziosa e non ripiegata tra sotterfugi e incertezze.
Mario Cardoni, Direttore generale Federmanager