Di culture sindacali si è sempre parlato poco e oggi se ne parla ancora di meno, almeno nell’esperienza italiana. La cultura sindacale nei lunghi decenni del secondo dopoguerra, è stata accantonata dalla storiografia a vantaggio delle culture politiche, quasi come se delle grandi organizzazioni sindacali fossero incapaci di produrre, e di consumare, una elaborazione culturale autonoma, non solo per sostenere le proprie attività rivendicative ma anche per interpretare il mutamento e la grande epoca di modernizzazione della società italiana. Persino nella denominazione delle confederazioni, troppo spesso ci si abbandonava alla dizione di sindacato cattolico (e talvolta democristiano) per la Cisl e di sindacato socialcomunista (se non più semplicemente comunista) per la Cgil. Pochi avevano lette le evocative osservazioni che Simone Weil aveva dedicato al sindacato dopo la sua esperienza di lavoro in fabbrica, o le pagine con le quali Frank Tannenbaum interpretava la storia dei sindacati americani nel suo sorprendente e anomalo A Philosophy of Labor. E se le avevano lette non erano riusciti a coglierne i più inconsueti stimoli conoscitivi. Così come poche tracce sembrava lasciare il bel libro di Aris Accornero La parabola del sindacato (1992), che recava come sottotitolo proprio Ascesa e declino di una cultura. Si potrebbe dire che declinava una cultura che comunque era stata poco conosciuta nei suoi aspetti autonomi anche nel momento della sua ascesa. Oggi, compiuto o quasi il declino che ha accompagnato la fine del “secolo industriale”, le culture sindacali non sembrano più destare interesse, né le grandi confederazioni italiane sembrano fare molto per rianimare questa attenzione.
Ben venga dunque il volume collettivo dedicato alla cultura della Cisl, curato con attenzione e passione partecipativa da Adriana Coppola e Francesco Lauria, che raccoglie i contributi presentati alle giornate di storiografia e cultura sindacale svoltesi nel dicembre del 2020 al Centro Studi di Firenze, il luogo emblematico della elaborazione culturale autonoma del movimento sindacale italiano. L’oggetto del volume (la cultura della Cisl), non è tuttavia di agevole delineazione in quanto il modello sindacale fondato su una sensibile autonomia delle federazioni di categoria, e delle strutture decentrate (unioni sindacali locali e anche sindacati provinciali di categoria), rendeva (e rende tuttora) l’esperienza culturale della Cisl leggibile e interpretabile più dalle “gemme” disperse, che dalla consistenza e qualità dell’albero centrale, se mi si perdona la metafora arborea. Anche se la scelta laica della Cisl, quando molto se non tutto sembrava spingere verso la adozione esplicita della caratterizzazione cristiana, con la corrispondente ricerca delle ispirazioni e degli esempi nelle esperienze più avanzate dei grandi paesi industriali, aveva comunque sollecitato interpretazioni stimolanti, all’interno e all’esterno della Cisl. Fra queste ultime, rifuggente dalle letture più scontate e riduttive, quella famosa di Bruno Trentin nella relazione sul neocapitalismo al convegno dell’Istituto Gramsci del 1962.
Un contributo importante, nel volume curato da Coppola e Lauria, è quello di Aldo Carera, dedicato alla figura e al ruolo di Mario Romani, nella sua ispirazione a quella “Scuola del Wisconsin” che, da Commons a Perlman, aveva costituito il retroterra culturale per alimentare e legittimare la grande vicenda del sindacalismo americano, con i suoi sforzi di affrancamento dal patrimonio ideologico-politico dei sindacalismi europei, con la connessa identificazione alla “coscienza di classe” di matrice in prevalenza marxista, ma non solo. Era “quell’ambiente scientifico che aveva messo in dubbio le classiche interpretazioni europeo-continentali sulla questione operaia ormai logorate alla ricerca di spiegazioni fondate su una concezione prevalentemente ideologica o politica dell’ordinamento sociale” (p.29). Sono pagine che, sia pure in modo implicito, tendono a ricollocare la straordinaria figura di Romani all’interno di un filone culturale comune alle più rilevanti esperienze del sindacato industriale, togliendolo da quella canonizzazione, con non pochi tratti ritualistici, di cui è stato officiato per decenni da una gran parte dei gruppi dirigenti della Cisl, specie a livello centrale. Dietro all’incontro con Pastore stava anche questa ispirazione. Un incontro che doveva dare origine ad una nuova cultura sindacale e “politica”, quella cultura che si manifesterà anche nell’impegno per lo sviluppo del Mezzogiorno e nei rapporti con il mondo delle partecipazioni statali. Un lato, questo, della cultura Cisl che non viene però affrontato nei contributi di questo volume. E’ un rilievo critico che può essere considerato come un invito ad occuparsene in un futuro volume.
Due altri scritti sono dedicati alle influenze e alle ispirazioni derivanti dall’ altra corrente che nella formazione della cultura Cisl si affianca al pluralismo degli ambienti anglosassoni: il personalismo che, sia pure con forte caratterizzazione laica, proveniva dalle esperienze del cristianesimo sociale francese, attraverso le figure di Mounier e Maritain e i processi di trasformazione della Cftc nella laica Cfdt. Il contributo di Pino Acocella si sofferma sulla capacità del personalismo di sostenere e alimentare l’impresa di un gruppo in prevalenza cattolico orientata a fondare un sindacato laico: “una generazione di cattolici intenti a edificare l’esperienza inedita di un sindacato aconfessionale, alla ricerca di una cultura laica nuova che affondava però le sue radici in un patrimonio culturale e identitario che all’universo cattolico faceva riferimento” (p.51). Completa questo riesame delle influenze personaliste il saggio, dotto e accurato, di Ettore Bucci dal titolo accattivante come L’invenzione transnazionale di un personalismo sindacale?, dedicato allo scambio di esperienze tra Cisl e Cftc-Cfdt negli anni sessanta. Un saggio dove emerge il ruolo svolto da una figura come Paul Vignaux, il teologo-filosofo della Sorbona appassionato di sindacalismo e protagonista di tante vicende dei sindacati francesi fra personalismo e socialismo democratico, che poteva giovarsi della contemporanea intensa amicizia con Carniti e Trentin, animata da ripetuti incontri che si svolgevano nelle sedi sindacali metalmeccaniche, fra Milano e Roma negli anni sessanta e settanta, ovvero negli anni dove l’unità sindacale toccava i suoi momenti più significativi e emblematici. Anche in questo caso però sempre di “gemme” si trattava, in alcune federazioni di categoria e in non pochi sindacati provinciali (a Milano, Torino, Treviso, Modena, ecc.), la cui fioritura era certo favorita da quel pluralismo di matrice cristiana che aveva alimentato il sorgere dell’esperienza Cisl, ma non si traduceva necessariamente nella formazione di una cultura per l’intera confederazione.
Molto interessante e originale è il contributo di Adriana Coppola, “Co-decidere” è “co-gestire”?, dedicato alla considerazione (scettica) e alla valutazione (non positiva) che la Cisl aveva per decenni riservato alla vicenda della Mitbestimmung. Un atteggiamento che in parte cambierà negli ultimi decenni (come ha ricordato Bruno Manghi), ma che svela gli aspetti problematici derivanti dagli investimenti prioritari (organizzativi e culturali) riservati alla contrattazione collettiva e dalla radicata diffidenza nei confronti degli interventi legislativi. Semmai alcune delle “gemme” negli anni sessanta e settanta si rivolgeranno verso le esperienze di autogestione, mostrando un naturale orientamento verso l’innovazione, ma anche una sottovalutazione delle ragioni e degli effetti del fallimento storico del movimento sindacale italiano, ovvero la mancata realizzazione delle istituzioni per la partecipazione dei lavoratori, nonostante la legittimazione fornita dall’art. 46 della Costituzione.
Su altre “gemme” il volume fornisce evocativi resoconti, che qui possiamo solo ricordare, dalla influenza di Simone Weil (nel contributo di Marcella Filippa) all’esempio di César Chávez, eroe del community organizing nei sindacati americani (nel saggio accurato e appassionato di Francesco Lauria), fino al coinvolgimento intenso nella vicenda di trasformazione dei sindacati brasiliani, una partecipazione questa che, sul piano emotivo, etico, culturale, va ben oltre i limiti delle meritorie attività di sostegno messe in atto da numerosi sindacati europei a favore dei movimenti sindacali dell’America Latina. Attività queste, nei confronti del Sud del mondo e in Polonia con il nascente Solidarnosc, che hanno comunque visto coinvolta tutta la confederazione al meglio della sua cultura, distante dalle deformazioni e strumentalizzazioni ideologiche-politiche, come emerge dai contributi di Iuliano, Cuevas, Gabaglio. Nell’insieme, per la considerazione e gli stimoli, sulle “gemme” e sull’albero della cultura Cisl, questo volume ci dice molto. Speriamo che ne seguano altri.
Gian Primo Cella