C’è una serie Tv, molto carina, dove a un certo punto una giovane donna, che dalle puntate precedenti sappiamo divorziata e con due bambini, annuncia ai genitori di aver trovato un lavoro. Apriti cielo. La madre, scandalizzata, si alza di scatto e va a rinchiudersi in camera, sbattendo la porta. Il padre guarda la figlia esterrefatto: un lavoro? E perché mai? Gli uomini lavorano. Tu perché non stai a casa a occuparti dei tuoi figli? qui non ti manca nulla! Ma io vorrei avere soldi miei, risponde la ragazza. Ah, ma quindi ti pagano? ribatte il padre, ancora più incredulo.
La serie tv è “La meravigliosa signora Maisel” (la consiglio, è su Amazon Video) si svolge nel 1958. E’ la storia della dura (e decisamente divertente) conquista dell’indipendenza da parte di una giovane donna dei quartieri alti di New York. Probabilmente devono averla vista anche i grafici della ormai nota app Immuni: per questo, forse, l’hanno illustrata con un quadretto bizzarro dove da un lato si intravede un uomo davanti a un pc, mentre dall’altro una tenera madre stringe tra le braccia un frugoletto. Ovviamente, le accuse di sessismo sono arrivate subito, e altrettanto subito è stato cambiato il disegnino. Stavolta al pc c’è la figura femminile, e il frugoletto sta fra le braccia di un papà molto compreso nel suo ruolo. Tutto bene? No, affatto. Perché anche qui, alla fine, il pregiudizio vince: la figura della donna non è la stessa del primo quadro, nella nuova versione è chiaramente una teenager, una ragazzetta in tshirt senza maniche e crocchietta approssimativa nei capelli spettinati. L’espressione del viso non è concentrata, ma ilare. Il suggerimento che arriva dal quadro complessivo è che si tratti appunto di una ragazzina – quindi troppo giovane per avere figli – vestita da casa e che chatta con le amiche; dunque, non una donna al lavoro.
La polemica sui disegnetti di Immuni può sembrare solo un dettaglio sollevato da vetero femministe, e forse lo è. Resta che durante i mesi della pandemia il virus ha bruciato anche quel poco di voce femminile che ancora restava in campo. E quel pochissimo di femminile che è riuscito a sfondare il muro di grisaglie e voci maschili – sui giornali, o nei talk in tv – è stato quasi sempre relegato nei ruoli classici: le donne infermiere, i medici, i professori, gli esperti, gli scienziati, invece, maschi. Il gruppo delle scienziate che allo Spallanzani di Roma per prime isolarono il virus, chi le ha più sentite o viste? E la loro collega del Sacco, che, pur molto criticata, disse che alla fine si trattava di una influenza grave, ha avuto modo di spiegare, o anche ritrattare, il suo punto di vista? Nemmeno i loro nomi, si ricordano. L’unico nome che ogni tanto si sente è quello di Ilaria Capua. Ma anche lei, malgrado la reputazione internazionale, ha dovuto subire l’accusa di aver detto “un sacco di sciocchezze” da parte dei suoi colleghi maschi. Come se loro, i maschi, i virologi, gli epidemiologi, i cosologi, non ne avessero dette, e a tonnellate, in questi mesi.
E sulla scena politica, stessa cosa. Il potere, e dunque la parola, è sempre stato saldamente in mano a ministri uomini:Speranza, Boccia, l’immancabile Conte. Il potere, e la parola, saldamente in mano a maschi e, come tali, per definizione ipocondriaci, quindi terrorizzati; ma anche terrorizzanti, nelle loro dichiarazioni quotidiane, e repressivi di ogni manifestazione di vitalità. Padri arcigni, come quelli che negli anni Sessanta detestavano e criticavano le minigonne, il rock e le nuove libertà delle donne. Tutti terribilmente e costantemente preoccupati per la salute pubblica, giustamente; ma pochissimo preoccupati per quella, anche mentale, delle donne, e perfino delle sacre madri italiche: lasciate senza scuole, senza asili, a farsi carico non solo dei figli, ma anche della nuova forma di lavoro confinata entro mura domestiche, il molto decantato smart working, che guarda caso alle donne piace meno che a chiunque altro, e per un semplicissimo motivo: ci abbiamo messo decenni – la meravigliosa signora Maisel lo sa bene – per conquistarci il diritto di uscire di casa e andare in un posto di lavoro “altro”. Che significa anche spazio per sé, amicizie, scambi di opinioni, vetrine sbirciate di passaggio andando o tornando dal lavoro, un caffè e quattro chiacchiere al bar con i colleghi. E oggi non siamo per nulla contente all’idea di farci nuovamente rinchiudere. Sia pure in una app malriuscita.
Nunzia Penelope