La Notte del Lavoro e’ un lungo riassunto, un rewind degli ultimi mesi, a partire dal 10 marzo e poi avanti, fino a oggi e, forse, a domani. E’ la prima manifestazione di piazza, la prima post covid, – se post si puo’ davvero dire, chissa’- organizzata da Cgil Cisl e Uil dal vivo, o in presenza, come si dice. In piazza Santi Apostoli a Roma, dalle otto e mezzo a mezzanotte, si sono date appuntamento diverse centinaia di persone, ordinatamente sedute e distanziate, tutte con mascherina regolamentare, e spiccano quelle rosse, ovviamente, della Cgil. Maurizio Landini, Anna Maria Furlan, Pierpaolo Bombardieri, fanno gli onori di casa, ma i veri protagonisti, sul palco, sono i delegati: scelti con cura uno ad uno per realizzare, attraverso i loro racconti, quel ”riassunto delle puntate precedenti” che serve a ricordare da dove siamo partiti, dove siamo, dove vogliamo andare.
Apre Tatiana, infermiera all’ospedale di Varese: commossa, porta lo smarrimento di chi si e’ trovato sbattuto all’improvviso in terapia intensiva senza mezzi e senza sapere cosa fare, di fronte a malati sempre piu’ gravi e sempre piu’ numerosi. C’e’ la delegata della scuola che ricorda l’incubo della didattica a distanza, i due milioni di studenti che non vi hanno avuto accesso, e dice: “Non abbiamo mai contato le ore o i giorni, abbiamo lavorato per tenere in vita le scuole. Ma a un mese dal riavvio ancora non sappiamo come si tornera’ a scuola. In 5 mesi il ministro Azzolina e’ stata molto presente sui social, molto meno sui problemi. Gli 80 mila docenti che il governo ha annunciato arriveranno, se va bene, tra due anni. Intanto, la scuola la mandano avanti i duecentomila precari”.
Vincenzo Marinelli, della Flai Cgil, porta la voce di chi lavora nel settore agroalimentare, uno di quelli che non si sono mai fermati: ”nove ore al giorno al lavoro, sempre con la mascherina, la mensa distanziati, non ci si parla piu’, non c’e’ piu’ socialita’ nelle fabbriche”. La giovane dipendente dell’Atac di Roma porta il racconto di chi non ha mai smesso di operare nei trasporti: ”la data indimenticabile del 9 marzo, chiudeva tutta l’Italia chiudeva tutto tranne i servizi essenziali, cioe’ noi. Il 10 marzo ero alla guida del bus, avevo paura, regnava il caos. Ho visto colleghi con le spalle larghe scoppiare in lacrime, per la paura di tornare a casa ogni sera dalla famiglia, di contagiare, di essere contagiati. Le mascherine che non arrivavano, la citta deserta, noi nella solitudine e nel terrore”.
Pilar, delegata dei pensionati Uil, denuncia lo scandalo delle Rsa ”dove non ci facevano entrare, al sindacato sbattevano la porta in faccia, nessuno sa cosa accadeva la dentro”; Federica, giovane rider iscritta alla Cgil, denuncia l’indifferenza delle aziende del settore: “lavoravamo tantissimo, durante il lock down, ma senza alcun tipo di tutela: abbiamo chiesto di studiare un metodo di consegna che evitasse il contatto, ma le aziende se ne sono fregate. Ho fatto sciopero, e mi hanno sospeso”.
E ancora, c’ e’ l’edile rumeno che si scusa del suo italiano incerto, ma che con estrema chiarezza definisce ”stupida” la polemica sul Mes: ”abbiamo bisogno di quei soldi, possibile che non lo capiscano”. E ringrazia l’Italia e il suo sindacato, ”che e’ sempre al nostro fianco”, ma chiede di rivolgere un pensiero ”al mio paese, che sta passando momenti terribili”. Il delegato dell’Ilva di Taranto porta invece l’esasperazione di una città “dimenticata dall’agenda del governo” ma dove, dice, ”non si puo’ piu’ vivere di soli ammortizzatori sociali”.
E ancora, c’e’ Katia, che lavora in una Rsa romana “dove siamo in emergenza tutto l’anno”; c’e’ Veronica, ricercatrice del CNR, lavora sulle proteine, che significano non solo alimentazione, ma cure innovative come gli anticorpi monoclonali: ”tutti a dire la ricerca e’ fondamentale, ma allora perche’ nessuno investe in ricerca? perche’ siamo gli ultimi in Europa, nel mondo?”. Butta li’ qualche dato: una azienda americana high tech investe in ricerca il 40% del fatturato, una low tech il 4%, l’Europa il 3%, del Pil, l’Italia meno dell’1,5%. E c’e’ Maristella, settore food, lavora per Chef Express, ricorda che ristorazione e turismo stanno pagando il prezzo piu’ alto, ma intanto ”non abbiamo ancora ricevuto la Cig, e moltissime famiglie sono alla disperazione”. C’e’ la dottoressa precaria del 118, contratto rinnovato di sei mesi in sei mesi, turni di 12 ore in ambulanza, durante l’emergenza un rischio altissimo e quotidiano: ”molti colleghi si sono ammalati, uno ha contagiato anche la figlia di tre anni. Sono guariti, per fortuna, e lui appena ha potuto e’ tornato sull’ambulanza”. Spiega che questo lavoro se lo e’ scelto, e la fatica e la paura vanno pure bene, quello che non va e’ l’essere precari a vita: “faccio questo lavoro perche’ lo amo, ma vorrei farlo con stabilita’ e sicurezza. Dicono che c’e’ carenza di medici? eccoci, siamo qui. Non chiamateci eroi, ma dateci la dignita’ di un contratto vero”.
Le storie che si intrecciano sul palco, una dopo l’altra, danno consistenza, voce, volti, a quello che l’Italia e’ stata in questi mesi. Non piu’ ”operai”, ”medici”, ”infernieri”, insegnanti”, ma persone in carne e ossa con una loro forma e una loro precisa memoria. Dai loro interventi emergono non solo le vicende personali, ma anche le mancanze, gli errori commessi, le responsabilita’ dei centri decisionali, del governo, dei diversi ministeri. Cosi’ concreti e vividi che quando si passa alla seconda parte della serata, dedicata agli interventi dei tre leader, intervistati sul palco da direttore della Stampa Massimo Giannini, c’e’ quasi una sensazione di straniamento.
Landini, Furlan e Bombardieri non hanno problemi a riconoscere al governo i suoi meriti: dalla capacita’ di condividere e confrontarsi con i sindacati nel momento peggiore, dando vita ai protocolli di sicurezza, fino alla trattativa europea che ci ha consentito di avere la ben nota ”dote” di 209 miliardi. Ma avvertono: non possiamo essere utili solo quando fa comodo, per poi essere accantonati quando si pensa di poter fare a meno del nostro contributo. Oggi c’e’ un paese da far ripartire, e noi dobbiamo avere voce in capitolo.
L’occasione, sottolineano a una voce sola i leder delle tre confederazioni, e’ irripetibile per tutti, per il governo, per le imprese, per gli stessi sindacati: pronti a offrirsi , da stasera, come parte attiva in un ”patto per la ricostruzione”, ma anche pronti a dare battaglia, a partire da settembre, se le loro istanze non saranno ascoltate. La scelta, dunque, e’ semplice: patto d’autunno, o autunno caldo. Il governo, la Confindustria, ci pensino, e decidano.
Nunzia Penelope