La Cassazione entra a gamba tesa nel dibattito politico in corso sulla definizione del salario minimo, e, con la recente sentenza n. 27711 del 2 ottobre 2023, ricorda che per la determinazione del giusto salario minimo costituzionale il giudice può servirsi di parametri ulteriori rispetto al CCNL di categoria.
In proposito interviene il giuslavorista Giovanni Costantino, capo delegazione Aris. “La decisione della Cassazione – sottolinea – rende ancor più evidente la necessità che l’Esecutivo crei le condizioni per il ripristino, dopo 30 anni, dell’originario principio della parità tra le strutture sanitarie pubbliche e private, desumibile dal d.lgs. 502/92, rimuovendo così gli ostacoli di natura economica, che rallentano il rinnovo dei CCNL della sanità privata”.
La Corte ha affermato che, ai fini della congruità del trattamento economico rispetto all’art. 36 della Costituzione – che prescrive il riconoscimento di una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro, nonché sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa – non basta il corretto pagamento del salario stabilito dal CCNL di categoria.
Il contratto applicato, infatti, anche quando sia sottoscritto dalle OO.SS. maggiormente rappresentative, è solo il primo termine di paragone, da guardare comunque “con grande prudenza e rispetto”.
I giudici, però, possono discostarsene, e applicare diversi criteri retributivi, quando ritengano insufficiente il salario definito dal contratto applicato. Per tale decisione, il magistrato può avvalersi di parametri esterni al rapporto di lavoro, quali le previsioni contenute in CCNL diversi da quello applicato o indicatori economici o statistici, come consiglia la Direttiva 2022/2041.