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Home - Blog - Salvini non avrà mai il mandato di trattare a mio nome

Salvini non avrà mai il mandato di trattare a mio nome

di Giuliano Cazzola
10 Dicembre 2018
in Blog
Salvini non avrà mai il mandato di trattare a mio nome

“Chiedo il mandato di andare a trattare con l’Ue non come ministro ma a nome di 60 milioni di italiani che vogliono lasciare ai loro figli e nipoti un’Italia migliore. Se c’è il vostro mandato non abbiamo paura di niente e di nessuno”. Così  Matteo Salvini in Piazza del Popolo. Io non so che cosa pensano gli altri 59.999.999 cittadini italiani, ma Salvini non avrà mai il mandato di trattare a mio nome. L’esecutivo di cui fa parte è espressione di una maggioranza che ha vinto le elezioni e che quindi è legittimata a governare.

Peraltro, il Truce sta allargando ogni giorno di più la propria area di influenza. Non solo è il titolare degli Interni (cosa che mette in mostra in ogni modo sciorinando abbigliamento riservato al personale della Polizia di Stato, dei Carabinieri e persino dei Vigili del Fuoco), ma dopo aver assunto, nei fatti, l’indirizzo della politica estera, ha cominciato ad interessarsi di economia. Aver convocato al Viminale i rappresentanti delle associazioni produttive è stato un gesto di grande scorrettezza istituzionale.  Ma al di là degli aspetti relativi alle competenze, il trio Capinera di governo, anche in questa circostanza, è ricorso ad una sorta di spartizione degli intrattenimenti.

Salvini ha preso in carico il mondo imprenditoriale (già) paludato; Giggino Di Maio (il Trucidello) se la vedrà, genericamente, con le piccole imprese, mentre il ‘’fine dicitore’’ Giuseppe Conte incontra oggi i sindacati (a palese e conclamata conferma della scarsa importanza attribuita a  Cgil, Cisl e Uil).  Il sedicente premier, infatti, non ha altro potere se non quello di prendere appunti e riservarsi di riferire ‘’colà dove si puote’’. Ma è Salvini l’uomo forte a cui tutto è concesso.

Ormai nessuno fa più caso alle sue bravate. A lui – che rivendica di essere ‘’uno di noi’’ – si concede di tutto. Persino di fare pubblicità – neppure occulta – ad alcuni generi alimentari sulla rete al solo scopo di dimostrare la semplicità delle sue abitudini di vita. Ricordo che tanti anni or sono i media coprirono di critiche un Presidente della Repubblica, il quale, mentre era in visita ad un pastificio, gli scappò detto di essere un consumatore dei suoi prodotti. Non avrebbe senso, tuttavia, prendersela con l’esibizione dei bucatini, dopo aver tollerato  il tweet  di un ministro che crea difficoltà ad importante operazione di polizia promossa dalla Procura di Torino. Il procuratore capo Armando Spataro  che ha preso una posizione pubblica contro l’annuncio, da parte del ministro, dell’operazione mentre era in corso (pare che qualcuno sia  riuscito a sottrarsi alla cattura) è stato invitato a candidarsi o ad andare in quiescenza.

Se un incidente siffatto fosse capitato ad un altro ministro degli Interni (Scajola? Alfano?) con ogni probabilità si sarebbero avviate nei suoi confronti delle indagini preliminari, con la classica ‘’apertura di un fascicolo’’ per reato di favoreggiamento personale.  L’articolo 378 c.p. recita infatti:  ‘’Chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce  l’ergastolo o la reclusione, e fuori dei casi di concorso nel medesimo, aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’Autorità, comprese quelle svolte da organi della Corte penale internazionale, o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti è punito con la reclusione fino a quattro anni’’. In altri tempi tutti si sarebbero schierati in difesa della sacralità di un magistrato per di più inquirente (Spataro, a Milano, riuscì persino a far condannare degli agenti della Cia in missione in Italia, fino a mettere in imbarazzo il governo italiano nei confronti di quello Usa).

A Salvini si è permessa una replica ben poco elegante:’’Se ha da ridire, mi telefoni’’.  Ma non facciamoci ancor più cattivo sangue continuando a parlare del Truce e a rattristarci per come siamo caduti in basso. Attendiamo con curiosità l’esito dell’incontro tra Conte e i leader sindacali, con la speranza che, alla fine, ci scappi fuori almeno un’assemblea come quella promossa, a Torino, dalle maggiori associazioni imprenditoriali. Certo, non uno sciopero, perchè i lavoratori non lo farebbero. Neppure una manifestazione nazionale in Piazza del Popolo: non ci sarebbe modo di organizzarla in tempi utili per influire sull’esame della manovra al Senato. Poi sarebbero in grado Cgil, Cisl e Uil di competere con la Lega per quanto riguarda il numero dei partecipanti? E di trovare una piattaforma comune anche sulle grandi opere, vista la posizione No Tav della Fiom?

Per concludere queste penose considerazioni, non riesco a capacitarmi di come il Paese sembri  mitridatizzato nei confronti di alcune misure, a mio avviso, di una gravità intollerabile. Non mi soffermo sul decreto sicurezza o sull’abolizione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado: provvedimenti che per me rappresentato il massimo della vergogna, non solo per il loro contenuto, ma anche per la condivisione, da un lato, e la rassegnazione, dall’altro, con cui sono stati accolti.

Mi domando sia opportuna la norma che consente alle lavoratrici in gravidanza di lavorare fino al nono mese, posticipando a dopo il parto l’intero periodo di assenza.  O se invece  siano giuste le preoccupazioni di Loredana Taddei  della Cgil: “Quanto proposto – ha sostenuto la dirigente sindacale – mina la libertà delle donne, soprattutto di quelle più precarie e meno tutelate, che in Italia, purtroppo, sono sempre più numerose e rischierebbero così di trovarsi di fronte a veri e propri ricatti del datore di lavoro. Quanto previsto in merito al congedo per le neomamme lavoratrici –  ha concluso Taddei – è un ulteriore colpo ai diritti delle donne, alle loro tutele, per questo chiediamo che nel passaggio al Senato questa norma venga modificata”. Ciò in un Paese in cui la recente legislazione ha introdotto una nuova presunzione assoluta come se le dimissioni – in particolare delle lavoratrici – fossero tutte estorte, tramite la preventiva sottoscrizione di un foglio nudo (le c.d. dimissioni in bianco) al momento dell’assunzione.

Fino a che punto può essere libera la scelta di continuare a lavorare, correndo il rischio di partorire in sala mensa? Negli ultimi anni la tutela della maternità è stata estesa anche alle lavoratrici autonome e alle libere professioniste proprio perché potessero evitare di lavorare fino all’ultimo giorno. E’ possibile che questioni così delicate siano affidate ad un emendamento estemporaneo e che anche questa novità, per l’opinione pubblica, sia iscritta in ciò che ‘’passa il convento’’?

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Giuliano Cazzola

Giuliano Cazzola

Ex Sindacalista

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