Sulla questione salario minimo scende in campo il Cnel, offrendosi come “soggetto facilitatore” e “sede naturale e più appropriata” per la discussione e il necessario confronto tra parti sociali sul tema. Nel documento, che pubblichiamo integrale nella sezione documentazione del Diario, si fornisce, su richiesta della Commissione Lavoro della Camera, un parere sulle diverse proposte di legge riguardanti il salario minimo e il concetto di “giusta retribuzione”, avanzando alcune osservazioni e proposte. Si tratta in pratica del primo documento che, su un argomento delicato come il salario, riesce a portare a sintesi le diverse posizioni in campo, ottenendo il consenso di tutte le parti sociali rappresentate al Cnel, sindacati e imprese.
In primo luogo, nel documento, il Cnel ricorda che attualmente il 97% dei contratti depositati è firmato dalle tre confederazioni maggiori, Cgil, Cisl e Uil, e che nella “quasi totalità dei casi” le retribuzioni orarie previste, come dimostrano le tabelle allegate al testo, sono nella forchetta dei 7-9 euro presi in considerazione dalle diverse proposte di legge presenti in parlamento. Inoltre, si osserva, “il salario è la parte finale di un percorso di creazione di valore, e non una banale determinazione di una tariffa astratta”, e un eventuale intervento soltanto sui minimi finirebbe per mettere in secondo piano gli altri istituti che i contratti regolano e che concorrono a determinarne il valore.
Ciò non significa che in Italia non vi sia un problema di bassi salari, che tuttavia è anche legato “all’alta diffusione di forme di lavoro irregolare, discontinue o dalla ridotta intensità lavorativa”, al peso di “un elevato cuneo fiscale” e alla “bassa produttività del lavoro”: problemi che non possono essere risolti semplicemente definendo un salario minimo orario, il cui apporto può essere utile ma certo non esaustivo. Le soluzioni, per il Cnel, passano infatti per un mix di diverse strade, prendendo in considerazione il rilancio della contrattazione nazionale e di secondo livello, la connessione tra salari e andamento delle imprese, e mettendo in campo interventi anche sul welfare aziendale e sulla detassazione degli aumenti contrattuali, come strumenti per “rimpinguare” le buste paga. E ancora, il Cnel suggerisce di favorire la partecipazione dei lavoratori (a questo proposito, vale la pena di ricordare la proposta di legge popolare presentata dalla Cisl) attraverso una legislazione fiscale di sostegno.
In sostanza, per il Cnel il problema dei bassi salari va aggredito “a monte”, cercando di individuare e rimuovere quelli che sono stati fin qui gli ostacoli alla crescita, a partire dall’ostacolo numero uno, e cioè la bassa produttività. E nell’ipotesi allo studio di istituire in Italia i Comitati nazionali per la produttività, previsti dall’Unione europea, la proposta è di individuare come sede lo stesso Cnel, il che consentirebbe di “valorizzare il contributo dei corpi intermedi” su questo terreno. Il Consiglio Economia e Lavoro, insomma, come “soggetto facilitatore” di un percorso condiviso, che valorizzi l’apporto delle parti sociali e delle relazioni industriali, per affrontare adeguatamente il problema della giusta retribuzione, dei salari, e della produttività.
Nunzia Penelope