In questi giorni esponenti del governo e dell’opposizione, e non da ultimo il premier Conte, hanno più volte ribadito come, una volta passata, lo sforzo di medici e infermieri non sarà dimenticato né dal paese e né soprattutto dalla politica.
Un impegno che, quando ci saremo lasciati alle spalle questo terribile momento, dovrà essere sostenuto non solo dalle parole ma anche dai fatti. Non mantenerlo vorrebbe dire non solo tradire lo sforzo eccezionale che sta mettendo in campo la sanità pubblica, ma anche tutti i cittadini. Se c’è una cosa che il virus ci ha insegnato è la nuda e cruda uguaglianza di ognuno di noi davanti a determinati momenti della vita. La malattia non guarda al ceto o alle distinzioni sociali, non si cura del conto in banca, del lavoro svolto o del tipo di assicurazione sanitaria. Colpisce tutti, indistintamente. Reali, stelle di Hollywood, artisti, operai, casalinghe. Ed è proprio da questa consapevolezza che è nato il nostro Sistema Sanitario. L’accesso alle cure non deve essere ostacolato da nessun tipo di argine economico e sociale. Nel male appunto, fisico e dello spirito, siamo tutti uguali. Piangere ora sul latte versato non ha senso e non serve. La nostra sanità è vero sconta ora politiche del passato errate ma, nonostante questo, fronteggia a testa alta i virus. L’importante sarà di non ripetere nel futuro gli errori passati.
Da qui mi viene in mente una seconda parola: fragilità. Tutti, anche se in modo diverso, l’abbiamo riscoperta in questi giorni. L’errore che forse ci possiamo imputare è quello di averla messa da parte con troppa superficialità. Per i cittadini dei paesi ricchi, il benessere economico e tecnologico ha assicurato uno stile di vita prospero e stabile. Malattie e carestie che colpiscono le zone più povere del mondo ci appaiono come fatti assolutamente remoti. Una prospettiva del tutto falsata e nefasta. Certo i progressi tecnologici ci mettono nelle condizioni di poter fronteggiare pestilenze e calamità naturali. Ma penso che sia innegabile il terrore dell’uomo occidentale contemporaneo davanti alle sue fragilità. Ci troviamo forse a vivere gli esiti più oscuri delle modernità, dove l’uomo, ormai fondamento e misura di tutte le cose, si arroga il diritto di un controllo totalizzante sulla realtà attraverso la tecnica. La società non è indulgente con le nostre fragilità. Chi rallenta o si ferma è un debole, un peso per tutti. Questo scollamento sociale lo si registra ogni giorno con le diseguaglianze che continuano a crescere, con la mancanza di umanità, con il cieco e arrogante dominio verso l’ambiente.
Ed ecco la terza e ultima parola: hybris. Con questo termine dobbiamo spostarci ancora più indietro rispetto alla modernità, fino alla Grecia classica. Per l’uomo antico la hybris era il gesto peggiore che si potesse compiere. Un blasfemo superamento dei limiti etici e religiosi della sfera umana. In epoca cristiana, Dante colloca Odisseo all’Inferno perché, a causa della sua tracotanza, ha superato le Colonne d’Ercole, raggiungendo la Montagna del Purgatorio. Ovviamente la nostra quotidianità difficilmente respira ambientazioni così auliche. Ma il senso del limite è un qualcosa lontano dal nostro orizzonte culturale. Dobbiamo sempre rialzarci e ripartire, anche se le condizioni non lo permettono. Pensiamo di poter dettare sempre le regole del gioco, ma i fatti ci smentiscono. Dei limiti ci sono stati imposti, dovremmo forse imparare a rispettarli senza costrizioni. E ora medici e infermieri sono gli unici ai quali è concessa, con la benevolenza di tutti, un po’ di hybris per salvare quante più vite possibile.
Tommaso Nutarelli