Prima decisione del nuovo presidente: resuscita l’organismo, abolito nel 2014, dove per tradizione siedono i rappresentanti delle maggiori imprese nazionali. Obiettivo: indirizzare la pioggia di miliardi che arriverà col Recovery Fund
Sceso a Roma per “cambiare tutto”, o almeno molto, Carlo Bonomi non ha perso tempo. Il primo Consiglio generale di Confindustria, riunito giovedi sotto la nuova presidenza, ha subito deciso due novità di peso. La prima è apparentemente solo tecnica, e riguarda il direttore generale. Ruolo oggi ricoperto da Marcella Panucci (per inciso anche la prima donna ad assumere la direzione generale di Confindustria), il Dg è stato per anni il vero numero due di Viale dell’Astronomia. Nella rivoluzione bonomiana viene però fortemente ridimensionato, diventando un’emanazione del presidente: che avrà il potere di sceglierlo e revocarlo, senza più passare per l’approvazione di altri organismi. Inoltre, il Dg non avrà un incarico a tempo indeterminato, ma un contratto quadriennale, in pratica di eguale durata rispetto alla presidenza.
Ma quello che più conta è la seconda novità, cioè la resurrezione del Direttivo, organismo potentissimo del quale facevano parte i pesi massimi dell’associazione: per dire, ai tempi d’oro c’erano Agnelli, Romiti, Pirelli, De Benedetti, Gardini, Tronchetti Provera, Marzotto, il Berlusconi pre discesa in politica, nonché i presidenti o Ad di tutte le grandi aziende pubbliche, Eni, Telecom, ecc. Una trentina di personaggi che rappresentavano, realmente, il pil nazionale. Ed era infatti il Direttivo il luogo dove si decidevano realmente le strategie e la linea confindustriale; dove, se necessario, si litigava, anche duramente; fino a trovare quella mediazione che successivamente veniva confermata dal voto della – più pletorica – riunione di Giunta.
Negli anni i vari organismi avevano subito trasformazioni non sempre azzeccate; il peso e il ruolo, i partecipanti stessi, erano andati via via sbiadendo. Finché nel 2014 la riforma Pesenti aveva abolito il non particolarmente rimpianto Direttivo. Con Bonomi, contrordine: il Direttivo torna, e torna più o meno nella sua configurazione storica, cioè comprendendo i membri del comitato di presidenza, più quindici altri nomi rappresentativi del sistema delle imprese ai massimi livelli, più tre invitati speciali del presidente, esterni al sistema confindustriale e scelti in mondi diversi, dalla cultura alla scienza. In pratica, il nuovo direttivo sarà un po’ la “task force” del nuovo presidente, destinata a supportarlo nelle scelte. Ma c’è anche un’altra e più profonda chiave di lettura. Col direttivo entreranno a pieno titolo in Confindustria i rappresentanti delle più grandi aziende nazionali, pubbliche e private; i nomi verranno annunciati solo a luglio, ma le indiscrezioni già dicono molto sul peso specifico di coloro che ne faranno parte.
Da tempo l’industria del nord ovest – l’aristocrazia industriale o quel che ne resta – puntava a esprimere una Confindustria diversa, più potente e incisiva rispetto alle ultime presidenze. E tuttavia, nessuno dei big era mai stato disponibile a correre per la presidenza. Storia vecchia, del resto: fare il presidente è un lavoro a tempo pieno, ma se si ha un’azienda importante da mandare avanti non si può mollare un attimo. Inoltre, si tratta di un ruolo costantemente sotto i riflettori, oggi più occhiuti e spietati che mai: dunque occorre non avere scheletri nell’armadio e prepararsi a misurare ogni gesto, ogni parola, ogni conflitto d’ interesse. Infine, occorre passare sotto le forche caudine di un voto che spesso ha riservato sorprese, come nel caso della precedente presidenza di Boccia, affermatasi contro il ben più illustre concorrente, l’emiliano Vacchi. Per non parlare del passato, quando il candidato della Fiat e della grande industria, Carlo Callieri, venne stracciato dall’outsider napoletano Antonio D’Amato. Per la somma di queste ragioni, alla fine ogni grande nome ha sempre cortesemente declinato l’onore, non essendo disposto ad assumersi anche gli oneri.
Questo però ha causato una notevole perdita di peso politico all’associazione, una “insostenibile leggerezza” che rischiava di renderla irrilevante. Occorreva dunque trovare una soluzione, ed è appunto quella che è stata individuata per tempo sull’asse Roma-Milano, cioè tra Unindustria e Assolombarda, le due principali associazioni territoriali di Confindustria nonché i due veri grandi elettori di Bonomi, come dimostrano anche le prime nomine del presidente: il romano Aurelio Regina delegato alle politiche energetiche, e il milanese Gianfelice Rocca alle politiche della vita. L’idea, molto semplice, è stata questa: individuare per la presidenza una figura anche di piccola taglia, come appunto Bonomi, ma dotata di un suo carisma, e affiancarla con un resuscitato direttivo dove i grandi nomi, entrati per chiamata del presidente stesso, e possano guidarne le mosse.
Quanto poi Bonomi sia effettivamente manovrabile, è tutto da verificare. Per il momento, una parte dei suoi elettori non ha gradito i toni dell’intervista rilasciata a Repubblica, e in particolare quella frase sulla politica che farebbe più danni del virus. Anche se, alla fine, i più gli riconoscono di aver “rimesso la chiesa al centro del villaggio”, ovvero di aver riportato con forza Confindustria sulla scena politica, non manca chi gli rimprovera di non aver riconosciuto a Giuseppe Conte almeno due cose buone: il primo passo verso l’abolizione dell’odiata Irap, e la lungimiranza politica dimostrata un anno fa, quando l’Italia (grillini compresi) risultò determinante nell’elezione di Ursula von Der Leyen, conquistandosi la gratitudine di Angela Merkel. E’ grazie a quel voto, si osserva tra gli industriali, se oggi il Recovery Found porterà nel nostro paese la pazzesca cifra di 80 mld a fondo perduto, più altri 90 a tasso stracciato. Cifre stratosferiche e mai sognate, sulle quali anche Confindustria sarà chiamata ad avanzare proposte. Per questo, sarebbe stato preferibile se Bonomi avesse tenuto toni più soft nei confronti di un premier che dovrà scegliere i propri interlocutori per definire il piano di rilancio del paese. E per questo è utile che al presidente si affianchi un direttivo di “big”, capace di indirizzare gli investimenti del Recovery Fund sulla strada giusta: puntando sulla sostanza dei progetti, ma anche sul proprio potere.
Nunzia Penelope