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Whirlpool, il 23 l’atto finale di un addio lungo mille giorni

Nunzia Penelope
Settembre17/ 2021

Ultima chiamata per la Whirlpool di Napoli. Il 29 scadono i 75 giorni previsti dalla procedura per i licenziamenti, avviata il 15 luglio dall’azienda con l’invio di una lettera alle istituzioni locali, nazionali, e ai sindacati. Giovedì gli operai napoletani hanno manifestato a Roma sotto il Mise, dove si è tenuta l’ennesima riunione per trovare una soluzione. Ma si è conclusa con l’ennesimo rinvio al 23 settembre, data in cui il governo dovrebbe presentare il famoso piano alternativo che consentirebbe la sopravvivenza del sito e dei suoi dipendenti. Una sorta di corsa contro il tempo, considerando che solo sei giorni separano la riunione dal DDay dopo il quale nulla sarà più fattibile, e soprattutto considerando i circa mille giorni che sono invece passati da quando la Whirlpool annunciò l’intenzione di chiudere, ben tre anni fa.

Era infatti il 30 ottobre 2018 quando Luigi Di Maio, fresco ministro dello Sviluppo  nonché del Lavoro nel governo giallo verde, affermava trionfante che ”Whirlpool non licenzierà nessuno, abbiamo salvato l’occupazione”. Risposta decisa ed efficiente del Governo, spiegava, al primo annuncio di crisi da parte del gruppo americano. Ma passano pochi mesi e già ad aprile 2019 l’azienda comunica al Governo, nuovamente, l’intenzione di sbaraccare tutto.

Il governo intanto è cambiato, da giallo verde è diventato giallo rosso, al Mise c’è Stefano Patuanelli, che tuttavia, come il suo predecessore Di Maio, non riesce a combinare nulla di concreto. E la Whirpool infatti non recede di un passo rispetto alla sua decisione di chiudere. Le motivazioni sono dettagliatamente esposte nella lettera di cui si accennava prima (gli abbonati possono leggerla integralmente nella sezione Documentazione del Diario del Lavoro) ma in sintesi si parla di una produzione di lavatrici di alta gamma che non hanno più mercato, con conseguente chiusura della fabbrica che le produce. Si poteva trovare una produzione diversa, riconvertire fabbrica e operai a qualcosa che abbia mercato? i sindacati dicono di si, la Whirpool dice di no, e nella solita lettera tira in ballo abbastanza spietatamente anche la bassa formazione, scolastica e professionale, dei dipendenti, in una fabbrica che, tra l’altro, ha stranamente una forza lavoro composta da soli operai generici e nessun dirigente.

Ma la lettera arriverà solo il 15 luglio scorso; prima, ci sono mesi e mesi di incontri, tra sindacati, governo e azienda, tutti finiti in nulla, tutti inutili. Whirpool propone una soluzione alternativa, la cessione del sito di Napoli ad un altra azienda di sistemi frigoriferi (alla PRS, “società leader nella termodinamica finalizzata alla conservazione e al trasporto intermodale di prodotti deperibili”) ma per i sindacati questa strada non è praticabile, non viene nemmeno presa in considerazione. La richiesta infatti è una e una sola: che resti la Whirlpool e che continui a fare lavatrici, che si vendano o meno. Ogni volta Whirlpool conferma la chiusura, ogni volta la risposta è  ”non se ne parla”.

Intanto la fabbrica napoletana è chiusa e ferma da novembre 2020, i dipendenti stanno in cassa, le manifestazioni, a Roma e a Napoli, si susseguono, si occupano binari, stazioni, autostrade. Dopo la lettera del 15, i sindacati insistono perché l’azienda accetti almeno di utilizzare le 13 settimane di cassa integrazione previste in questi casi, ma Whirlpool risponde grazie, no: il timore è che accettare un altra proroga della chiusura significhi trascinare per altri anni una chiusura che viene definita irrevocabile: ”il progetto di cessazione di attività dello stabilimento di Napoli è da intendersi finale e definitivo”.

Negli ultimissimi mesi sembra che il governo si sia finalmente messo seriamente a lavorare per trovare un sostituto industriale alla Whirlpool, ma non si sa nulla di più di questo. Il dossier è da mesi in mano alla sottosegretaria del Mise, la grillina Alessandra Todde, che dichiara ogni volta di lavorare indefessamente a una soluzione assieme alla solita Invitalia. I sindacati però evidentemente si fidano fino a un certo punto, tanto che dopo l”ultima riunione di giovedì hanno chiesto che mercoledì prossimo, al Mise, ci sia il ministro Giorgetti in persona: ritenendo che a questo punto la responsabilità della chiusura, o salvezza, debba essere in capo a una figura maggiormente rappresentativa. Ma insomma il 23, in ogni caso,  il governo scoprirà le carte, e si saprà chi è il cavaliere che salverà la fabbrica. Ammesso che ci sia davvero, augurandoci tutti, che ci sia davvero e che sia una soluzione credibile, in grado di fermare il timer appena un attimo prima della scadenza senza ritorno del 29.

Nunzia Penelope

Nunzia Penelope

Giornalista

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