È stato presentato ieri a Roma l’ottavo Rapporto sulla contrattazione sociale realizzato da Cgil, Spi e Fondazione Di Vittorio.
In particolare, dall’analisi emerge che gli interventi direttamente finalizzati al contrasto della povertà ricorrono quasi in un accordo su due, con una composizione interna molto variegata: un terzo degli accordi prevedono contributi o trasferimenti economici; circa il 10% vede anche sostegni di base e la fornitura di beni di prima necessità, in misura quasi pari a interventi più articolati di inclusione e promozione sociale.
Osservata dal punto di vista dei beneficiari, le persone e famiglie in condizione di povertà sono presenti in circa il 75% degli accordi, con un abbinamento a misure più variegate di quelle “etichettate” negli accordi come iniziative anti-povertà. Difatti, anche il campo delle politiche abitative, quello fiscale e tributario, quello dell’inserimento lavorativo (per quanto in misura inferiore) possono offrire spunti di intervento a favore dei cittadini in difficoltà.
Pertanto, sul piano delle misure contrattate la permanenza di un’area composita della povertà impegna amministrazioni e sindacato nella ricerca di soluzioni innovative, anche in raccordo con le nuove misure nazionali (sperimentazione Sia, prossima attivazione del Rei).
Oltre che sul merito, questa urgenza chiama al confronto su una “filiera negoziale” più solida che
coinvolga le diverse competenze delle amministrazioni comunali, degli ambiti territoriali sociali e delle Regioni. Questo, spiegano i ricercatori, vale naturalmente su diversi temi, per quanto la contrattazione sociale rimanga una pratica centrata sul livello comunale e sul confronto sui bilanci di previsione.
E.M.