di Paolo Candotti, Direttore Risorse Umane Gruppo ACC
Il dibattito sulla legge 30 troppo spesso è degenerato in toni polemici e in contrapposizioni ideologiche. Polemiche e scontri ideologici che non rendono giustizia alla portata innovativa di tale legge e alla lucidità dell’analisi dei processi di trasformazione della società e dell’economia su cui essa poggia (vedere Libro Bianco).
Come spesso accade, una grande innovazione, un grande cambiamento ha bisogno di tempo per essere compreso, accettato e soprattutto sfruttato nelle sue potenzialità. Spesso un forte cambiamento genera una reazione di rigetto ed una volontà di ritorno al passato. E forse il limite della riforma Biagi, se tale può essere considerato, sta proprio nel fatto di aver anticipato troppo i tempi, inserendosi in un contesto sociale ed economico non ancora pronto a recepirne positivamente la portata d’innovazione.
Va dato atto al prof. Treu, anch’egli grande innovatore in questa materia e autore della prima grande riforma del mercato del lavoro italiano dagli anni 70 ad oggi, di non essersi lasciato trascinare dalle tentazioni di ideologizzazione del dibattito sulla materia, ma di avere indicato, anche dalle pagine di questo sito, alcuni utili indirizzi per correggere o integrare la legge 30.
Mi sento di condividere alcune delle proposte di Treu, specie quando esse vanno nella direzione dell’integrazione della legge per favorirne l’accettazione da parte delle parti sociali e per aumentarne l’efficacia applicativa. Diversamente, non ritengo condivisibili le proposte che limitano il numero di tipologie contrattuali regolate dalla legge. Esse rappresentano una ricchezza, un’opportunità e non già un mero fattore di precarizzazione. Più in particolare, condivido l’obiettivo del rafforzamento delle tutele attive, dal sostegno economico all’accompagnamento formativo da posto a posto di lavoro.
Anche la prospettiva di un rafforzamento del contratto a tempo indeterminato, se coniugata a politiche di investimento in qualità ed innovazione, rappresenterebbe un’utile integrazione alla legge; tale obiettivo va tuttavia, a mio giudizio, perseguito non solo con politiche di incentivazione economica ma anche con un approccio più “laico” al tema della flessibilità in uscita dal lavoro. Su questo punto, sull’equilibrio tra posto fisso e lavoro precario ruota in verità gran parte del dibattito odierno sulla legge 30. E’ indubitabile che essa, introducendo nell’ordinamento italiano nuove tipologie contrattuali “flessibili”, aumenta da un lato la strumentazione disponibile ai datori di lavoro ma dall’altro incrementa anche le opportunità di accesso al lavoro. In tal senso, limitare il numero di tipologie disponibili non necessariamente significa ridurre la precarietà.
L’obiettivo di un corretto equilibrio tra le diverse tipologie contrattuali può essere conseguito agendo su tre fattori:
1. un utilizzo corretto dei diversi strumenti, in altre parole un’ortodossia applicativa sulla quale gli organi ispettivi devono saper vigilare con maggior efficacia;
2. un riequilibrio delle tutele sociali tra lavoro fisso e lavoro precario prevedendo un’estensione di quelle attinenti il primo in favore del secondo;
3. una disciplina delle quantità applicabili (tetti e durata) collegata al contesto economico e organizzativo e dunque guidata dalla contrattazione collettiva, in particolare quella aziendale
In azienda, infatti, meglio che in ogni altro livello geografico o categoriale, le relazioni industriali possono perseguire l’obiettivo di coniugare le ragioni della competitività con quelle della disciplina dei rapporti di lavoro. Sotto questo profilo la legge 30, con i suoi numerosi rinvii alla contrattazione collettiva, offre un’opportunità vera per il rilancio delle relazioni industriali.
Nel nostro pur piccolo caso, quello del Gruppo ACC, 7000 dipendenti nel mondo di cui 2000 in Italia, la contrattazione collettiva aziendale è riuscita ad esempio, a superare la logica aberrante del rifiuto ideologico della legge 30, preferendo la strada più pragmatica della selezione degli strumenti e della loro modulazione applicativa (casi di applicazione e tetti complessivi). Nel contesto organizzativo aziendale ritengo si possano meglio raggiungere gli equilibri tra mix di tipologie contrattuali utilizzabili e flessibilità della prestazione lavorativa.
Sotto questo profilo rimango convinto che la legge Biagi porti con sé non solo un’innovazione diretta dei meccanismi regolativi del mercato del lavoro ma soprattutto crei le condizioni per un rilancio delle relazioni industriali quale centro e motore dell’innovazione dei rapporti di lavoro.