Un incontro a tre, probabilmente già nelle prossime ore o, al massimo, entro un paio di giorni: nelle agende dei tre leader sindacali, Camusso, Furlan e Barbagallo, l’appuntamento e’ deciso, si tratta solo di fissare data, orario e indirizzo. Una cena, probabilmente, in modo da avere tutto il tempo di confrontarsi senza l’assillo dei media. L’obiettivo e’ riprendere il filo del confronto unitario, cercando un minimo comune denominatore su cui costruire una piattaforma centrata sulla riforma della contrattazione.
L’iniziativa e’ partita da Susanna Camusso, che la scorsa settimana ha inviato una lettera ai colleghi di Cisl e Uil per invitarli, appunto, a riprendere il dialogo. Separati non contiamo nulla, ha in sintesi detto la segretaria della Cgil, magari se torniamo a parlare con una sola voce qualcuno ci ascolterà. La lettera di Camusso ( rivelata domenica da La Repubblica) ha ottenuto subito la risposta sia di Anna Maria Furlan che di Carmelo Barbagallo. Con sfumature diverse, però. Camusso, nella sua lettera, elenca una lunga serie di argomenti su cui confrontarsi, dal fisco alla riforma degli ammortizzatori sociali: Cisl e Uil, invece, riterrebbero piu’ utile concentrarsi sulla riforma dei contratti. Il tutto con un obiettivo finale, sostenuto in particolare dalla Uil: trovare un modo per alzare i salari italiani, da troppo tempo compressi.
Di riforma del sistema contrattuale si parla da anni, ma, appunto, si parla e basta. Non si e’ mai riusciti a trovare una soluzione che metta d’accordo tutti: i sindacati tra di loro, e in certi casi anche al loro interno ( in Cgil ci sono posizioni diverse), certo; ma oggi piu’ in difficolta’ sembrano essere proprio gli industriali. La Confindustria, ancora una volta, appare incapace di scegliere se puntare sul rafforzamento del contratto nazionale o sulla contrattazione di secondo livello, aziendale o territoriale. Una prova e’ nelle dichiarazioni a confronto dello stesso presidente Giorgio Squinzi: il 19 giugno, all’assemblea di Federmeccanica, ha detto di voler rafforzare la contrattazione di secondo livello; mentre il 22 giugno, parlando all’assemblea di Federchimica, si e’ invece limitato a proporre ai sindacati una trattativa sul welfare. Marcia indietro diplomatica, secondo alcune fonti, causata dalle diverse sensibilita’ interne al mondo confindustriale. Del resto, non e’ un caso che l’unica vera riforma contrattuale che si e’ vista dal 1993 sia quella di Sergio Marchionne: la decisione di uscire da Confindustria ha consentito alla ex Fiat di costruirsi un contratto ‘’fai da te’’ che oggi, nel bene e nel male, sembra comunque funzionare. Altre grandi aziende vorrebbero seguire il modello FCA, mentre le piccole continuano a preferire il caro vecchio contratto nazionale. Mediare tra queste due posizioni opposte per Confindustria e’ storicamente impossibile: nessun presidente c’e’ mai riuscito. Tanto piu’ e’ difficile oggi, nel momento in cui ci si prepara al cambio di leadership: Squinzi ha tenuto a maggio la sua ultima assemblea, ed e’ difficile che un presidente in scadenza abbia la forza di imporre decisioni su un tema cosi’ controverso e delicato. Sta di fatto che, a parte il presidente, al momento non si intravede in Confindustria una leadership cosi’ forte da poter imporre una linea. Ma e’ improbabile che si possa attendere l’anno prossimo con la nuova presidenza, chiunque sia, per procedere: Matteo Renzi ha concesso ancora tempo alle parti sociali, lasciando che decidano tra di loro un nuovo sistema contrattuale, ma ha avvertito più volte che in mancanza di scelte sarà Palazzo Chigi a decidere per tutti. Innanzi tutto, introducendo il salario minimo legale, strumento aborrito sia dai sindacati che dalla Confindustria.
A loro volta, le parti sociali rilanciano e chiedono all’esecutivo di vedere le carte: in particolare, vorrebbero garanzie sulla detassazione del salario aziendale, elemento imprescindibile per poter condurre in porto una seria riforma. Ma questa garanzia il governo non può ancora concederla: deve prima individuare le risorse economiche per sostenere una misura necessaria ma costosa.
C’e’ anche da dire che il Renzi di oggi incute forse meno timore rispetto ad appena un mese fa: dopo due elezioni andate malamente, il brutto pasticcio sulla riforma della scuola, gli scandali al comune di Roma e i sondaggi che danno il Pd in crollo verticale, il premier appare indebolito. Difficile, in queste condizioni, che possa imporre scelte al mondo del lavoro nel suo complesso, rischiando di mettersi contro sia i sindacati che le imprese. La palla della riforma contrattuale sembrerebbe dunque destinata a restare per un bel pezzo nel suo campo naturale, cioè appunto quello delle parti sociali. Non solo: i sindacati, avendo mosso per primi, avrebbero perfino il diritto di scegliere in quale parte del campo giocare, approfittando dell’attuale debolezza di Confindustria. Insomma: un’occasione d’oro per recuperare ruolo e appeal come non ne capitavano da tempo. Nei prossimi giorni si capirà se la sapranno portare fino in fondo, o se sarà l’ennesima palla fuori campo.
Nunzia Penelope