Confesercenti e Ipsos presentano “Il commercio oggi e domani”, uno studio sul commercio di vicinato tra erosione del potere d’acquisto e concorrenza dell’online, contenente dati su spesa delle famiglie, redditi reali e imprese del commercio. Non solo dati, ma anche un’indagine sulla percezione dei negozi di vicinato tra le diverse generazioni, dai Baby Boomer alla Generazione Z, con previsioni fino al 2030 sull’evoluzione panorama distributivo. Il rapporto è in corso di presentazione questa mattina, a Roma, presso la Sala del Tempio di Vibia Sabina e Adriano della Camera di Commercio di Roma, a Piazza di Pietra.
Dal 2019 ad oggi sono spariti oltre 52mila negozi di vicinato (-7%), sebbene dalle risposte degli intervistati emerge che il negozio tradizionale è ancora preferito agli acquisti online per la maggior parte delle categorie merceologiche (sei su nove) e da consumatori di tutte le età. Tuttavia, quella che si registra è un’accelerazione del processo di desertificazione su cui incide la doppia crisi vissuta dal comparto che, dopo lo stop imposto dalla pandemia, ha visto interrompersi la ripresa a causa degli effetti di inflazione e caro-energia, che hanno eroso la capacità di spesa delle famiglie. Negli ultimi due anni il potere d’acquisto degli italiani è calato di 14,7 miliardi di euro, oltre 540 euro in meno per nucleo familiare. Un vero e proprio crollo che pesa sul tessuto dei negozi di vicinato più della concorrenza dell’online.
In particolare, rispetto al 2019, a diminuire in numeri assoluti sono soprattutto i negozi di moda (-8.553 unità rispetto al 2019, con un calo del -6,3%), anche se le riduzioni percentuali più elevate vengono registrate da giornali e articoli di cartoleria (-13,5%, per 3.963 imprese in meno). In forte contrazione anche le imprese attive nella vendita di pane e torte, (-6,1%, per 679 attività in meno) e di carni (-5,7%, -1.663 imprese). Più contenuta la perdita per le librerie (-2%, o -112 imprese).
Fanno meglio le imprese specializzate nella vendita di frutta e verdura, che rispetto all’ultimo anno prima della pandemia crescono del 2%, per un totale di 432 imprese in più. Bene anche i negozi specializzati in pesci, crostacei e molluschi (+107 attività, per una variazione positiva del +1,2%) e quelli della distribuzione bevande, che aumentano di 291 attività sul 2019, con una crescita del +4,5% rispetto al periodo precedente alla pandemia”.
Nel rapporto si segnalano le difficoltà nell’apertura di nuovi esercizi commerciali: nel 2022 sono nate solo 22.608 nuove attività, il 20,3% in meno del 2021. “Un numero del tutto insufficiente a compensare le oltre 43mila imprese che hanno abbassato per sempre la saracinesca”, precisa Confesercenti. La media è “di oltre due negozi spariti ogni ora. E nel 2023 la situazione non migliora: nei primi tre mesi dell’anno le nuove aperture sono ancora il 18% inferiori a quelle registrate nello stesso periodo del 2019”.
Per far fronte al rischio desertificazione, Confesercenti propone misure fiscali per ridurre la pressione delle imposte sulle famiglie, tra cui “detassare gli aumenti contrattuali per il prossimo biennio: potrebbe generare 3 miliardi di euro di consumi aggiuntivi già a partire dalla prossima tornata contrattuale”. Poi, “misure strutturali, con un pacchetto di formazione per gli imprenditori, sostegni all’innovazione; Una fiscalità di vantaggio per le piccole imprese della distribuzione con fatturato inferiore ai 400mila euro annui, e la cedolare secca per le locazioni commerciali” “Siamo convinti – viene indicato – che, con queste misure, sarebbe possibile ridurre l’erosione delle quote di mercato delle piccole superfici, recuperando 5,5 miliardi di euro di vendite, e salvando quasi 30mila attività commerciali di vicinato dalla scomparsa nei prossimi sette anni.
e.m.