Al di là del costante miglioramento dei dati economici, superiore alle previsioni, a dimostrare che la crisi e’ alle nostre spalle c’e’ un altro elemento importante, ed e’ la ripresa delle vertenze sindacali. Nel giro di poche settimane sono balzati alla cronaca i grossi casi di Ikea, Amazon, Ryanair. Ma perfino la redazione di Famiglia Cristiana ha aperto una vertenza, dando vita al primo “sciopero della messa” nella storia del settimanale cattolico più venduto d’Italia.
Si potrebbe osservare che, in dieci anni di crisi, fin troppe ce ne sono state di vertenze. Certo, ma erano vertenze che cercavano disperatamente di salvare aziende e posti di lavoro decimati dalla crisi. Mentre nei casi che abbiamo ricordato si tratta di vertenze aperte nei confronti di imprese in grande salute, alle quali, oggi, sindacati e lavoratori chiedono ben altro che la semplice difesa del posto di lavoro a qualunque costo. Chiedono, piuttosto, il rispetto dei diritti, come nel caso di Ikea; chiedono un incremento salariale legato all’aumento di produttività, come nel caso di Amazon; chiedono il diritto ad avere una rappresentanza sindacale riconosciuta dall’azienda, o a fare sciopero, come i piloti di Ryan Air. Questioni giuste e sacrosante, che tuttavia negli ultimi anni erano state un po’ accantonate: difficile, infatti, avanzare simili richieste mentre la crisi mordeva alla giugulare imprese e occupazione. Per dieci anni, in sostanza, l’unico imperativo era sperare di uscirne vivi, accettando spesso anche condizioni capestro; mentre oggi, con la ripresa, si può ricominciare a guardare oltre la soglia minima della sopravvivenza.
La controprova di questo ragionamento e’ nel ritorno alla ribalta di una vecchissima querelle,quella sul lavoro festivo. Una polemica che ha radici in un lontano passato ( quando i consumi volavano e i lavoratori potevano permettersi di dire ‘’mai di domenica’’), sepolta poi nel 2012, nel pieno della crisi economica globale, con la liberalizzazione degli orari del commercio decisa dal Governo Monti. Decisione che, peraltro, ha impedito che la recessione massacrasse oltremodo l’occupazione nel settore della distribuzione: l’apertura festiva vale per un ipermercato il 20% di vendite in più rispetto a un giorno feriale e muove incassi supplementari per 9 miliardi annui. Il solo fatto che si sia tornati a parlarne, dunque, e’ una prova in più che la crisi e’ alle spalle: chi mai, nella massima stasi dei consumi, si sarebbe sognato di proporre una limitazione al tempo disponibile per lo shopping? Infatti, perfino i sindacati, che pure per primi avevano posto il problema, tacevano da tempo. Ma sono subito tornati in pista, cogliendo lo spunto lanciato da Papa Francesco, che ha ammonito contro lo “schiavismo della domenica’’, poi ripreso dal Movimento 5 Stelle.
In tutto questo fermento vertenziale, Cgil, Cisl e Uil (ma per la verità anche i fratelli minori delle tre confederazioni, come la Usb) riscoprono dunque un ruolo, non più solo difensivo ma nuovamente acquisitivo. E per di più nei confronti di grandi multinazionali, vale a dire dei simboli stessi di quella che si riteneva ormai l’anticamera della pensione per le organizzazioni dei lavoratori. Emblematica e’ la vittoria dei piloti di Ryan Air, che hanno costretto l’azienda a fare marcia indietro, ottenendo l’agognato riconoscimento sindacale. Si dirà: ma sono appena le basi. In teoria si; in pratica, trattandosi appunto di un colosso multinazionale, era tutt’altro che una vittoria scontata.
Proiettando in avanti questo quadro al momento ancora molto parziale, si puo’ ipotizzare che, con il consolidamento della ripresa, nei prossimi mesi vedremo nascere molte altre vertenze simili. Dopo anni di cinghia stretta, e’ il mimimo che ci si possa aspettare. Questo rende però ancora più indispensabile avere uno schema di riferimento per corrette relazioni tra sindacati e imprese. E qui arriviamo a un tema solo apparentemente diverso, che e’ quello dell’accordo tra sindacati e Confindustria su relazioni industriali e riforma dei contratti. Se ne parla da anni, ma senza cavare un ragno dal buco. Nelle ultime settimane la trattativa tra le parti era ripresa, lontana dai riflettori. Confindustria a fine novembre ha inviato alle tre confederazioni un documento, dal titolo “Contenuti e indirizzi delle relazioni industriali e della contrattazione collettiva di Confindustria e Cgil, Cisl e Uil”. Nel testo, si afferma appunto che, nell’ottica di cogliere al meglio la ripresa e trasformarla in crescita, “serve un riferimento certo e condiviso a cui orientare opportunamente le relazioni industriali e la contrattazione collettiva, in modo da cogliere tutte le opportunità della ripresa’’. Seguono le proposte per i vari capitoli: rappresentanza, sistema contrattuale, meccanismi per la definizione degli aumenti salariali, welfare aziendale, raffreddamento dei conflitti, mercato del lavoro, eccetera.
L’esistenza di questo negoziato fantasma, tuttavia, non e’ mai stata ufficializzata dai diretti interessati, sindacati e industriali, ne’ tantomeno lo e’ stato il documento: Cgil, Cisl e Uil, infatti, non trovano condivisbile buona parte dei suoi contenuti, soprattutto per quanto concerne le modalita’ per gli incrementi dei salari. Dissenso che e’ stato reso esplicito giovedì dalla Fiom: i metalmeccanici Cgil hanno discusso la cosa in comitato centrale, concludendo con un ordine del giorno dove si definisce ‘’non ricevibile’’ il testo di Viale dell’Astronomia e si chiede alla confederazione di accantonare il confronto con gli industriali, per avviare, invece, una discussione interna. Dunque, e’ presumibile che anche quest’anno si concluderà senza un accordo sulle relazioni industriali. Per i disattenti, ricordiamo che nello stesso modo si era concluso il 2016: quello che, secondo le dichiarazioni dei protagonisti, avrebbe dovuto appunto essere l’anno dell’intesa. Ma ovviamente, finche’ c’e’ vita c’e’ speranza.
Nunzia Penelope