La moratoria sui brevetti di Bigh Pharma di cui ha parlato Biden apre un dibattito anche tra gli esperti – economisti e scienziati della politica – mentre il Financial Times evoca esplicitamente “l’indignazione” delle società produttrici per una scelta che oltre a pesare nell’immediato sulle quotazioni di borsa potrebbe configurarsi anche come un’ipoteca sul futuro.
Entusiasta della svolta Usa sul tema è il premio Nobel Stieglitz.
“Una notizia molto, molto positiva”: così l’economista e Premio Nobel, Joseph E. Stiglitz, ha commentato su Twitter la decisione dell’amministrazione Biden di appoggiare la richiesta di oltre 100 paesi per una deroga temporanea delle barriere alla proprietà intellettuale sui vaccini per il Covid-19. Solo la scorsa settimana, Stiglitz, insieme a Lori Wallach, direttrice del Public Citizen`s Global Trade Watch, aveva scritto sul Washington Post: “Mantenere le barriere alla proprietà intellettuale ai vaccini Covid-19 è moralmente sbagliato e insensato”.
Nel loro intervento avevano chiesto perchè mai il presidente Biden non mettesse fine alla “politica autolesionista dell’amministrazione Trump che ostacola un’iniziativa mondiale per aumentare l’accesso ai vaccini per il Covid-19” e favorire “l’immunità di gregge mondiale”.
“Non c’è modo di battere il Covid-19 senza aumentare la capacità di produzione del vaccino. E una parte della produzione deve avvenire nel Sud del mondo per una serie di motivi, tra cui il fatto che la pronta soppressione di nuove varianti è il modo per evitare altre morti e quarantene”, avevano evidenziato, aggiungendo che la produzione dei vaccini nel Sud del mondo “farebbe una grande differenza nel raggiungere l’immunità di gregge mondiale”.
Stiglitz e Wallach hanno quindi definito “assurda l’argomentazione delle aziende farmaceutiche secondo cui la rinuncia temporanea ai loro monopoli per i farmaci Covid-19 minerebbe la loro capacità di rispondere alla prossima crisi sanitaria”.
“I governi hanno garantito oltre 110 miliardi di dollari alle aziende farmaceutiche per finanziare la ricerca e la produzione, quindi le aziende affrontano pochi rischi mentre guadagnano miliardi sulle vendite di vaccini – hanno ricordato – il mercato dei vaccini Covid-19 è letteralmente il mondo intero, quindi qualsiasi produttore di vaccini farà lauti profitti anche con il trasferimento di tecnologia”.
Per tutto questo, era stata la conclusione, “qualsiasi rinvio nel garantire la più vasta disponibilità di vaccini e cure è moralmente sbagliato e insensato, sia in termini di salute pubblica che di economia”. E “la deroga è un importante primo passo”.
Di segno opposto l’intervento dell’economista Alberto Heimler sul sito di informazione economica e politica “Inpiù”: Non occorre sospendere i brevetti – scrive Heimler – perché si può produrre su licenza, ma gli ostacoli sono molti Una proposta per aumentare la disponibilità dei vaccini è la sospensione della validità dei diritti di proprietà intellettuale che li proteggono, come ha indicato Biden. Un disegno di legge al riguardo è stato approvato dal Senato brasiliano e ora deve passare alla Camera, il che non è scontato. Tuttavia sospendere un brevetto non è così semplice, anche se in linea di principio possibile: l`accordo dell`Organizzazione Mondiale del Commercio sui diritti di proprietà intellettuale prevede che un paese possa dichiarare la loro sospensione se una licenza è stata attivamente richiesta e poi rifiutata dal titolare (il che non è avvenuto per i vaccini anti-Covid) o se il paese si trova ad affrontare un`emergenza nazionale o per ragioni di estrema urgenza. C`è dunque la possibilità di sospensione unilaterale dei diritti di proprietà intellettuale quando tale misur a è in grado di risolvere rapidamente l`emergenza nazionale. La domanda da porsi è quindi: la sospensione dei brevetti è necessaria per produrre rapidamente i vaccini nei paesi in via di sviluppo? È in grado di risolvere le emergenze causate dal virus?
La riposta è negativa. Produrre vaccini anti Covid è complesso, occorrono impianti sofisticati e costosi che richiedono dagli 8 ai 12 mesi per essere messi a punto. Inoltre è difficile nei paesi in via di sviluppo garantire gli standard di qualità e sicurezza. Se esistessero impianti di questo tipo, le società che hanno sviluppato i vaccini sarebbero più che disponibili a cedere le licenze e far produrre vaccini anche con royalties modestissime, col divieto per i produttori localizzati nei paesi in via di sviluppo di esportarli nei paesi più ricchi e lucrare sulle differenze di prezzo. È questa la strategia di AstraZeneca, uno dei vaccini più semplici da produrre, che ha dato la licenza a Serum in India col nome di Covishield (per evitarne l`esportazione) e che sta seguendo la realizzazione di 25 nuovi impianti di produzione nel mondo. La tecnologia di Pfizer e Moderna è più complessa e i siti di produzione potenzialmente validi molto minori. Peraltro uno dei vincoli principali alla produzione dei vaccini, è la disponibilità di input produttivi essenziali, principalmente prodotti in USA e Ue e che consentono loro di controllare indirettamente la produzione mondiale.
Operando tutti i paesi produttori secondo il principio “prima i nostri cittadini” (che spero venga presto abbandonato), le possibilità di sviluppare una elevata capacità di offerta anche per i paesi in via di sviluppo sono ulteriormente ridotte, per lo meno nel breve periodo. Non meno essenziale, il trasferimento di conoscenze specifiche su come la produzione e la catena logistica vanno organizzate è molto più importante della cessione gratuita dei brevetti. Infine, poiché la possibile soluzione è moltiplicare il numero di vaccini disponibili (con tecnologie diverse), la sospensione dei brevetti riduce se non azzera l`incentivo a realizzarli.
Su una linea analoga lo scienziato della politica ed editore Stefano Passigli, che intervenendo sul Corriere della Sera, definisce “errata” la scelta di intervenire sui brevetti considerandoli “beni comuni”.
” La pandemia è oramai mondiale; e se la vaccinazione è lo strumento essenziale per impedirne una ulteriore diffusione, allora è evidente la necessità di estendere le vaccinazioni a tutti i Paesi il più rapidamente possibile. Come risposta a questa necessità molti propongono di intervenire sui brevetti, considerandoli «beni comuni» di cui poter usufruire liberamente.
È una soluzione errata.
La ricerca richiede investimenti enormi e aleatori, e colpirne i frutti rischia di limitare la propensione delle industrie farmaceutiche più avanzate a impegnarsi in ricerche. Il caso delle malattie rare ne è un esempio. L`obiettivo di mantenere i profitti derivanti dalla ricerca entro termini accettabili, evitando ogni forma di speculazione, può essere conseguito senza impedire alle imprese un giusto beneficio tassando adeguatamente gli utili derivanti dai brevetti piuttosto che ponendo limiti al loro utilizzo. Inoltre, i prezzi dei farmaci sono in ogni sistema soggetti ad autorizzazione da parte di organismi pubblici.
Tutte le grandi imprese farmaceutiche hanno contabilità analitiche che possono permettere di valutare gli investimenti effettuati in ricerca e la quota gravante su di un singolo farmaco, e di stabilire così prezzi equi e differenziati per i Paesi poveri, vie queste sicuramente preferibili ad interventi che ledessero il principio della brevettabilità della ricerca. Se un insegnamento può venire dalla attuale vicenda dei vaccini, questo è che un Paese non può non destinare una adeguata percentuale del suo Pil alla ricerca senza perdere la capacità di difendere i propri cittadini”.
TN