L’effetto Biden vale circa 400 miliardi di euro. Sono i soldi che bisognerebbe aggiungere alla dote ufficiale di 750 miliardi di euro del Recovery Fund, che oggi, di fronte al megapiano della Casa Bianca, non appare più così cospicua come qualche mese fa. Non che il presidente americano intenda spedire un solo dollaro al di qua dell’Atlantico. Ma se Ursula von der Leyen e i governi europei volessero pareggiare lo stimolo che Biden sta iniettando nell’economia americana, le dimensioni dell’intervento aggiuntivo che l’Europa dovrebbe operare sarebbero appunto appena sotto i 400 miliardi di euro. Il conto è a spanne, ma è questo: i 2 mila miliardi di dollari messi in campo da Biden valgono il 10 per cento del Pil Usa che supera i 21 mila miliardi. Il parallelo stimolo europeo si ferma al 7 per cento, rispetto ad un Pil intorno ai 15 mila miliardi di dollari. Considerando sia gli interventi europei che quelli nazionali, infatti, la Ue arriva poco oltre i mille miliardi di dollari. Per arrivare al 10 per cento, cioè a 1.500, mancano appunto 450 miliardi di dollari circa, ovvero 380 miliardi di euro.
L’idea che un intervento da record storico, come i 750 miliardi di euro del NextGenerationEu, possa e debba aumentare del 50 per cento era, fino a ieri, solo un tema emergente nel cicaleccio degli economisti. Ma, se le indiscrezioni dei giornali sono fondate, avrebbero cominciato a discuterne Emmanuel Macron e Mario Draghi. Troppo presto per parlarne apertamente, nel momento in cui, Germania in testa, molti paesi devono ancora ratificare il Recovery Fund. Ma lo scontro con i paesi più riottosi su un rilancio in grande stile del fondo potrebbe essere di scena già questa estate.
Di certo, il tema è abbastanza serio da aver spinto l’irlandese Paschal Donohoe, che coordina i governi dell’eurozona, a intervenire pubblicamente per respingere confronti troppo facili fra Usa e Europa. Le due strategie non sono, infatti, dice l’ex governatore della banca centrale irlandese, perfettamente sovrapponibili. Il Recovery Fund, ad esempio, nel 2021 partirà con interventi modesti: il grosso dei soldi verrà sborsato negli anni successivi. Inoltre, se i sussidi europei sono pari solo al 7 per cento del Pil, gli interventi a garanzia della liquidità delle aziende arrivano al 17,7 per cento, cioè più del doppio di quanto fatto negli Usa. E’ lo specchio della diversa filosofia che sta dietro le due strategie e i due sistemi economici. Una fetta importante del piano della Casa Bianca è costituita, infatti, da versamenti diretti nelle tasche delle famiglie e delle aziende che, in Europa, sono stati invece sostituiti dai normali strumenti del welfare, tipo la cassa integrazione. Infatti, in Europa, il calo di occupazione è stato molto inferiore al crollo dell’economia. Vale l’esempio dell’impiego pubblico: gli Stati americani (che devono pareggiare i bilanci) hanno licenziato 1,3 milioni di lavoratori. In Europa nessun impiegato pubblico ha perso il posto.
Anche se nel confronto Usa-Europa bisogna fare la tara al piano Biden, tuttavia, gli effetti delle due strategie sulle rispettive economie sono vistosamente diversi. Secondo l’Ocse, quest’anno l’America crescerà del 6,5 per cento, l’Europa meno del 4. Per dirla in altro modo, a fine anno l’economia americana avrà recuperato tutto quello che ha perso nei mesi del Covid, mentre l’economia europea sarà ancora del 4 per cento più piccola del 2019.
Lo scenario diventa, però, più chiaro se non ci si limita a misurare gli andamenti di questi mesi, ma si leva la testa a valutare le tendenze di fondo di questi anni. Le aziende, nel decennio appena concluso, hanno notevolmente aumentato il peso dei debiti sui bilanci, sia in America che in Europa. La differenza è che le imprese europee sono arrivate all’appuntamento con il Covid in un contesto di bassa crescita e di bassa inflazione. Il mix tanti debiti-scarse prospettive si rispecchia negli investimenti. Fra il 2016 e il 2020, gli investimenti americani sono aumentati al deludente ritmo dello 0,7 per cento l’anno. Ma, in Europa, fra il 2016 e il 2019 sono diminuiti dello 0,8 per cento e, nel 2020, dell’1,6 per cento.
Il Covid ha ulteriormente oscurato il panorama. Gli economisti non si aspettano che, finiti lockdown e quarantene, le famiglie spendano più del 10-15 per cento dei soldi risparmiati durante la pandemia. Niente boom di domanda, insomma, a stimolare imprese, già ulteriormente appesantite dai debiti della pandemia. Il rischio concreto è la paralisi degli investimenti. Solo l’intervento pubblico, sostengono gli economisti del Centre for European Reform, può scongiurarla.
Maurizio Ricci