Servizio di: Emanuele Ghiani
Sincerità, coinvolgimento democratico e azione sono i tre elementi che distinguono i manager italiani, così come emergono dalla ricerca Bravi Manager Bravi: uno studio sul management efficace e responsabile, promossa da Federmanager e realizzata da The European House Ambrosetti, presentata oggi a Roma, dal presidente e dal direttore generale di Federmanager, Stefano Cuzzilla e Mario Cardoni e, di Theodoro Briscommatis e Eva Giudicatti, senior consultant The European House- Ambrosetti.
Per aumentare la produttività delle aziende italiane che, stando alla ricerca, è cresciuta nell’ultimo decennio ad un tasso cumulato che tende allo zero (contro l’8% del Giappone) servono manager esterni alla proprietà che siano “bravi” tecnicamente, ma anche “bravi” come persone, per valori e driver motivazionali.
Attualmente però il 70% delle imprese familiari italiane ha l’intero management espressione della famiglia.
Intesa come trasparenza, la sincerità rappresenta la propensione dei manager verso la condivisione delle informazioni, comune all’81% degli intervistati. Il coinvolgimento democratico è il secondo valore guida. Il 72% del campione ritiene che la leadership debba essere esercitata in modo democratico: per il 42% il processo decisionale deve avvenire mediante la consultazione allargata tra tutte le forze in campo mentre il 30% preferisce modalità di leadership a rotazione. Infine, l’azione come elemento di efficacia: quasi la metà degli intervistati (47%) mostra un forte orientamento al problem solving e all’ottimizzazione delle risorse. A questi si aggiunge un 21% che identifica il proprio ruolo nel “fare” piuttosto che nell’ “essere” qualcuno.
Se questi sono i 3 valori guida del “manager bravo” come persona, l’efficacia e lo spirito imprenditoriale sono le 2 qualità riconosciute al “bravo manager” dal punto di vista delle competenze tecniche. Infatti, su 7 macro-competenze mappate emerge che l’eccellenza operativa, come capacità di snellire i processi e l’organizzazione per dare risposte veloci ai cambiamenti, è per i manager la prima macro-competenza sia per importanza sia per adozione, con un valore assegnato su scala 1-10 rispettivamente di 8.2 e di 7.4 punti.
Al secondo posto, con un punteggio di 7.8 in termini di importanza e di 7.3 in termini di adozione, l’imprenditorialità, che si esprime, in particolare, nella decisionalità veloce e tempestiva e che riflette una forte iniziativa personale.
“Questo studio ci ha confermato la propensione dei nostri colleghi a prendere decisioni in tempi rapidi e la voglia di innovare. Ma abbiamo scoperto anche un’attenzione particolare a valori di responsabilità e trasparenza, condivisione e comunicazione che indicano che nel futuro il manager sarà sempre più un “leader” e sempre meno un “capo””, commenta il presidente Federmanager, Stefano Cuzzilla.
“La capacità di snellire i processi e di organizzare il lavoro esercitando una leadership diffusa farà sempre più la differenza in un contesto produttivo che sta affrontando trasformazioni epocali legate all’avvento delle nuove tecnologie”, ha rivelato Cuzzilla. “Le imprese che si dotano di manager con queste competenze non solo innovano i modelli di business ma sono anche più competitive sul mercato”.
Secondo i consulenti The European House – Ambrosetti, infatti, la scarsa produttività delle imprese italiane si è accentuata: nell’ultimo decennio il tasso di crescita cumulato della produttività tende allo 0 mentre, chi viene subito dopo l’Italia come il Giappone ha registrato un +8%.
L’Italia soffre un gap di managerializzazione consistente a cui si aggiunge un elemento distintivo rispetto a tutti gli altri Paesi: circa il 70% delle imprese familiari italiane che si dotano di figure manageriali, le scelgono all’interno della famiglia, anziché reclutarle sul mercato del lavoro esterno.
“In assenza di politiche che favoriscano in modo significativo la crescita dimensionale delle aziende italiane sarà difficile fornire al sistema produttivo una delle risorse chiave per invertire la tendenza, vale a dire la competenza gestionale indispensabile per competere adeguatamente”, scrivono i ricercatori Ambrosetti.
“Alla scarsa managerializzazione delle imprese italiane si reagisce con una nuova cultura di impresa”, spiega ancora il presidente Cuzzilla. “Descriviamo le qualità del management italiano non certo per dire che siamo bravi, ma per aumentare il livello di consapevolezza su quanto strategico sia diventato avere in azienda le competenze giuste per innovare ed essere competitivi”.
“Bravi Manager Bravi è un ritratto del management italiano”, afferma Marco Grazioli, presidente The European House Ambrosetti, illustrando “il rigore metodologico con cui abbiamo condotto lo studio, derivato dalle ricerche sociali degli anni ’60. Pensiamo che si debba ritornare a studiare sul campo le aziende, le istituzioni e le organizzazioni con lo sguardo curioso del ricercatore sociale che, oltre a misurare, cerca di capire attraverso l’ascolto profondo qualcosa di più sui fenomeni che influenzano la produttività del nostro Paese”.
“Ecco perché abbiamo voluto studiare il management italiano con il metodo “Moneyball” e “il bar dell’angolo””, aggiunge Grazioli, “per costruire i molteplici significati del presente e la possibilità di fare ipotesi per il futuro. Abbiamo capito qualcosa che è frutto di una misurazione su 1.631 manager e dell’ascolto profondo di 80 manager di 65 aziende differenti. Abbiamo capito qualcosa di più, ma molto ancora dobbiamo fare per creare una solida cultura del management in Italia”.
E.G.