Le origini della Festa del 1° Maggio sono radicate nella durezza delle lotte operaie della fine del XIX secolo, nei ricordo dei morti, dei feriti e dei condannati al carcere persino alla pena capitale (c’era sempre qualche anarchico da appendere a un forca) come responsabili dei moti e delle proteste del mondo del lavoro. Scegliamo dunque una data “ufficiale”: nel 1889 a Parigi il Congresso della II Internazionale proclamò la giornata del 1° maggio Festa Internazionale del Lavoro. L’Italia si adeguò nel 1890. Le ricorrenza entrò così a far parte del vivere civile e sociale di molti Paesi che s’incamminavano verso ordinamenti liberali, mentre continuò ad essere vietata e repressa nei regimi assolutistici. Nel XX secolo, dopo la Grande Guerra, la Festa del Lavoro fu teatro dei conflitti politici e sociali che caratterizzarono quel periodo e che sfociarono nell’epoca dei totalitarismi. Nei regimi fascisti la Festa fu proibita, spostata ad altra data (in Italia venne anticipata al 21 Aprile il giorno dei presunti natali di Roma) oppure requisita nell’ufficialità delle celebrazioni pubbliche. A Mosca, durante il regime sovietico, il Primo Maggio veniva celebrato in pompa magna con interminabili sfilate di popolo e di armamenti sotto gli occhi del Politburo schierato in modo gerarchico e delle delegazione dei partiti fratelli provenienti da ogni angolo della terra con i loro maggiori esponenti. In Italia il 1°maggio 1947 avvenne la strage di Portella della Ginestra, eseguita dalla Banda Giuliano su ordine della Mafia ingaggiata per minacciare la sinistra che aveva vinto le elezioni in Sicilia con la lista del Blocco del popolo. In seguito quando il comizio costituiva il principale mezzo di comunicazione politica la giornata del 1° maggio rappresentava un’occasione importante che dava ai lavoratori la possibilità di ritrovarsi insieme intorno ai propri valori e ai sindacati di mettere in campo la forza politica ed organizzativa ed il consenso di cui godevano i suoi leader. Il comizio, ora, è un genere superato, ammazzato anch’esso dalla televisione e dai social, ma soprattutto dalla scomparsa dei grandi leader e delle idee forti che essi condividevano con le masse raccolte intorno a loro. Comunque – bravi cultori di Blaise Pascal – i dirigenti sindacali non rinunciano ai loro riti nella speranza che la loro frequentazione precisa e puntuale arrivi anche a riaccendere la fede. La novità più importante – da decenni – della Festa del Lavoro è il Concertone in Piazza S.Giovanni a Roma: la principale se non la sola occasione in cui i sindacati sono in grado di entrare in sintonia con tanti giovani, grazie al Cavallo di Troia della musica rock e quant’altro. Per quanto la Giornata sia decaduta quasi a livello della ricorrenza del Santo Patrono, non si era mai visto che la Festa del lavoro venisse scippata da un rapper – tatuato come il fiocinatore del romanzo di Moby Dick – che fa come nome d’arte Fedez, sicuramente più noto all’Agenzia delle Entrate per il lauti guadagni di artista (è solo uno constatazione: lungi da me qualunque sentimento di invidia) e al pubblico per la bellezza della moglie, nota influencer che, solo entrando a far parte di un cda di una grande azienda della moda, ha provocato una “erezione” da primato degli indici di Piazza Affari a Milano. Il giovanotto dal palco ha fatto un comizio in difesa del disegno di legge Zan contro la misoginia, l’omotransfobia e l’abilismo. Il giorno dopo i temi finiti in prima pagina (a volte pure nei titoli di apertura) a proposito del Primo Maggio non sono stati quelli urlati da Pierpaolo Bombardieri nel suo comizio a Rieti. Così per i discorsi degli altri segretari. E’ stato Fedez l’eroe del Primo Maggio 2021 e il ddl Zan (grazie alla sua intemerata) è assurto agli onori della cronaca come priorità assoluta e immodificabile, caposaldo della libertà, d’ora in poi sostenuto dalle lotte dei lavoratori. Ovviamente non intendiamo impelagarci in un dibattito tanto complesso essendo orecchianti di un diritto penale ormai sovrabbondante ed invasivo di ogni momento della vita degli italiani. Ci convince, tuttavia, una considerazione di un grande penalista come Filippo Sgubbi quando scrive (<Il diritto penale totale>, il Mulino, 2019) polemicamente che: “Chiunque si senta discriminato da una condotta di un altro soggetto e si senta trattato in modo non paritario, è legittimato a sentirsi vittima di un illecito, dando forma in concreto a un fatto penalmente tipico e offensivo a suo danno”. E prosegue: “Le censure dettate dal politically correct sono ben note e colpiscono la libertà di parola e la libertà d’arte”. Non conta più l’azione in sé, ma la percezione che se ne riceve. “La condotta dell’agente può essere oggettivamene neutra – scrive ancora Sgubbi – ma se viene percepita come lesiva dall’interlocutore diventa reato”. Ci fermiamo qui. Con un solo caveat per la sinistra: se il ddl Zan è una priorità e se Fedez deve essere ringraziato per aver dato del fascista a chiunque non ne chieda a qualunque costo l’approvazione, è bene che la gauche non vada a parlarne nelle periferie, ma resti ben acquattata nei quartieri alti.
Giuliano Cazzola