Ai tempi della Gepi, quarant’anni fa, si chiamavano aziende decotte. Oggi, un termine più à la page è aziende zombie. Ma la definizione non cambia: sono le imprese irrimediabilmente fuori mercato, tenute in piedi dalla politica (preoccupata dai riflessi elettorali di una loro chiusura) e dalle banche (preoccupate di dover scrivere nei loro bilanci che i relativi crediti sono andati in fumo). Allora come oggi, l’Italia ne detiene il record europeo ed è una zavorra al collo dell’economia nazionale, che, all’uscita da dieci anni di crisi e recessione ne rallenta e, in qualche caso, frena, l’andatura, rispetto agli altri paesi. I dati non sono freschi, l’ultimo censimento è del 2013. Ma, nonostante le dolorose ripuliture dei bilanci di molte banche, dal Montepaschi alle banche venete, è difficile che il panorama sia cambiato sensibilmente.
Secondo l’Ocse, il 6 per cento delle aziende italiane può essere definito “decotto”. Il numero non è neanche la cosa più importante. Gli economisti dell’organizzazione che raccoglie i paesi industrializzati si preoccupano, piuttosto, del fatto che il 10 per cento degli occupati italiani siano imprigionati in aziende bloccate in un vicolo cieco e, soprattutto, che gli zombie tengano in ostaggio quasi il 20 per cento dello stock di capitale nazionale. E’ questo il record europeo più pesante, per un paese che non riesce più a decollare. La Germania ha il 12 per cento degli investimenti congelato in aziende senza futuro. La Francia solo il 6 per cento. Mettere in moto il meccanismo della “distruzione creatrice” immaginata da Schumpeter, sgombrando il terreno – ovvero il credito e il mercato – dalle macerie delle aziende sopravvissute a se stesse, secondo l’Ocse avrebbe un effetto vivificante, come nelle serie tv sul tema: se il numero delle aziende zombie, in Italia, scendesse al minimo europeo (che, per inciso, è quello della Slovenia) l’occupazione farebbe un balzo del 7 per cento. Ma, soprattutto, gli investimenti avrebbero una frustata che li farebbe scattare in avanti del 25 per cento.
Sono esercizi econometrici, certamente, che sorvolano sulla complessità degli aggiustamenti sociali che una simile ripulitura comporterebbe. Ma, implicitamente, sottolineano la necessità di creare le condizioni perché si realizzi. A tramutarsi in zombie sono, infatti, più facilmente le aziende più grandi e più vecchie, che ostruiscono il cammino alle nuove realtà imprenditoriali. La ricaduta, secondo un’altra ricerca, appena uscita, della stessa Ocse, non riguarda soltanto la vitalità imprenditoriale. I “morti che camminano” nel mondo delle aziende – il capitale, gli occupati, le opportunità di mercato che sottraggono alle imprese sane – sono anche uno dei motivi dei due fenomeni più inquietanti dell’economia mondiale post- crisi: il rallentamento della produttività e la paralisi dei salari. Prima della crisi del 2007, la produttività marciava ad un ritmo annuo d’aumento del 2 per cento negli Usa e poco più della metà nella Ue. Gli anni della crisi, fino al 2016, hanno visto la produttività frenare fino allo 0,9 per cento l’anno negli Stati Uniti e lo 0,3 in Europa. Ora, l’Ocse prevede una ripartenza, ma ancora lontana dai ritmi pre-crisi: 1,3 per cento l’anno, fino al 2019, in America, 0,8 di qua dell’Atlantico. –
Gli economisti tendono ad attribuire un po’ troppo spesso i movimenti dei salari ai ritmi della produttività, quando altri aspetti – come i rapporti di forza sul mercato del lavoro fra imprese e dipendenti o aspiranti tali – hanno un peso solitamente superiore. Ma la produttività è la leva che può cambiare questi rapporti. E il ristagno della produttività, infatti, va di pari passo a quello dei salari. Prima della crisi, salivano dell’1,8 per cento l’anno negli Usa, dello 0,8 in Europa. Poi, fino al 2016, lo 0,6 per cento di qua e di là dell’Atlantico. In Europa, le cose non cambieranno nelle buste paga – secondo l’Ocse – almeno fino al 2019, mentre in America si muoveranno appena un po’ più in fretta:0,8 per cento, comunque assai lontano dagli stipendi pre-crisi. La colpa è solo in parte degli zombie, ma, senza una decisa ripresa degli investimenti, produttività e salari resteranno al palo.