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Home - Approfondimenti - L'Editoriale - L’Italia è entrata nel suo tunnel buio

L’Italia è entrata nel suo tunnel buio

di Massimo Mascini
18 Gennaio 2021
in L'Editoriale
L’Italia è entrata nel suo tunnel buio

L’Italia è entrata nel suo tunnel buio. La crisi politica, scoppiata nel momento meno opportuno, in piena pandemia e alla vigilia di decisioni di estrema rilevanza per il nostro futuro economico, disegna un avvenire molto pericoloso. I partiti hanno operato la rottura, o l’hanno subita con non minore responsabilità, ma non sembrano essere in grado di superarla. Si potrebbe sempre tentare la scorciatoia degli accordicchi, delle risanature finte, ma questo non trarrebbe il paese dalle sue difficoltà. Il rischio forte è che il paese si trovi senza guida o con una guida molto debole proprio al momento di compiere scelte invece decisive. L’Italia non era ancora uscita dalla crisi iniziata nel 2008, non aveva ancora recuperato gli standard economici e produttivi che aveva prima di quella data, al contrario degli altri grandi paesi europei, poi è arrivata la pandemia, che ha innalzato il debito e ha prostrato il mondo produttivo. La prospettiva dei sostanziali aiuti europei, la Next generation Eu, potrebbe rappresentare la via di uscita da questa situazione, ma è in questa congiuntura, così precaria, che è precipitata la crisi politica.

Il problema è che gli aiuti europei, quei benedetti 209 miliardi di euro, non rappresentano un regalo di entità buone e caritatevoli, ma sono un prezzo che l’insieme dei paesi europei sono pronti a pagare per facilitare la ripresa economica in tutto il continente. E per questo saranno concessi solo a fronte di programmi di risanamento economico veri, concreti, efficaci. Ma mettere a punto questi programmi rappresenta una sfida forse impossibile per un paese, come il nostro, che ha sempre stentato anche solo a spendere gli aiuti che i piani pluriennali europei mettevano a disposizione. Il governo ha preparato un programma di massima per l’utilizzo di questi fondi, ma il giudizio di chi l’ha letto non è positivo. Basti pensare che il presidente di Confindustria Carlo Bonomi si è trovato ancora una volta a criticare l’azione del governo affermando, appunto ancora, che manca quella visione d’insieme che è invece indispensabile perché gli obiettivi siano davvero raggiungibili.

Il nostro paese con l’aiuto di quei 209 miliardi dovrebbe sanare i suoi vizi storici, le lacune che per anni hanno impedito all’economia di decollare, dovrebbe mettere in campo una strategia di attacco che faccia risalire le graduatorie che l’hanno sempre visto agli ultimi posti in Europa, spesso anche nel mondo. Sono venti, forse trent’anni che la produttività stagna nel nostro paese e questo ci impedisce di tentare di risanare la situazione debitoria che ci caratterizza come uno dei due paesi più indebitati nel mondo. Per tornare a crescere è necessario un doppio, forse un triplo salto mortale. Impresa difficilissima che ci ricorda un po’ la crisi che abbiamo attraversato nei primi anni 90, quando Giuliano Amato per recuperare un po’ di risorse finanziarie, indispensabili per evitare il défault, fu costretto a mettere le mani nelle tasche degli italiani attingendo ai loro conti correnti bancari con un atto che nessuno gli ha mai perdonato (dove avrebbero dovuto invece ringraziarlo).

Un momento difficile quello per il nostro paese, che, guarda caso, era attraversato da una crisi politica ben più grave dell’attuale, considerando che Tangentopoli stava spazzando via i vecchi partiti politici. Ma l’Italia riuscì a recuperare e ci riuscì perché prima Amato, poi Carlo Azeglio Ciampi, che lo sostituì a Palazzo Chigi, chiesero e ottennero l’aiuto delle forze vive del paese, i rappresentanti del mondo del lavoro e della produzione. Con il loro aiuto, con la loro collaborazione il paese, lentamente, riuscì a recuperare, ritrovò la via dello sviluppo. Un’alleanza operosa che sanò la debolezza della politica. Non fu una mossa improvvisa, dettata dall’emergenza, l’Italia si era avvicinata gradatamente a questa collaborazione, affrontando negli anni precedenti i grandi problemi economici e sociali che la indebolivano. Ma furono quegli accordi generali, del 1992 e del 1993, a risanare il paese, a dargli la spinta necessaria per tornare a crescere.

Un esempio da seguire? Certamente sì, ma le attuali forze politiche, forse proprio a causa della loro debolezza, non sembrano capaci di ascoltare le offerte di collaborazione che tutti i giorni gli arrivano. E’ indubbio che solo da un concerto il più ampio possibile potrebbe venire la forza, l’intelligenza, anche la fantasia in grado di far risalire la china. Per aggredire i mali oscuri che affliggono il paese la prima cosa è conoscere questi mali, ma davvero, in profondità, perché solo in questo modo è possibile aggredire quegli stessi mali e sconfiggerli. E chi meglio dei sindacati e degli imprenditori conoscono le difficoltà del lavoro e della produzione, chi meglio di loro è in grado di capire dove e come sia necessario mettere le mani. Ma, almeno finora, non sembra che ci sia stata alcuna attenzione all’apporto che potrebbe venire dalle forze sociali.
Martedì scorso Il diario del lavoro ha presentato via web il libro che Enrico Giovannini e Fabrizio Barca hanno scritto per Laterza “Quel mondo migliore” e più volte sia loro due che gli altri intervenuti al dibattito, Elli Schlein e Gaetano Sateriale, hanno insistito sulla necessità di attivare un concerto generale per unire le forze, perché sia possibile raccogliere tutte le potenzialità che il paese offre, anche generosamente, ma che restano inerti e inascoltate. Hanno insistito tutti perché non si trascuri nessuno in questa azione di individuazione dei punti di attacco, perché tutti siano protagonisti, nella considerazione che solo in questo modo, da un confronto vasto e ampio, sia possibile individuare i veri punti di bene comune. Non nutriamo molte speranze che la politica si ravveda, perché dovrebbe rendersi conto che la società è molto più ricca della politica e che le difficoltà della politica alla lunga minano il terreno della democrazia ed è difficile che ciò accada. Solo i prossimi giorni ci diranno se il paese ha qualche possibilità di ripresa, se la via diritta davvero non ci è negata. La speranza, si sa, è l’ultima a morire.

Massimo Mascini

Massimo Mascini

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Direttore responsabile de Il diario del lavoro

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