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Home - Approfondimenti - Interviste - Meschieri (Fillea Cgil), le aziende devono innovare e puntare a nuove soluzioni

Meschieri (Fillea Cgil), le aziende devono innovare e puntare a nuove soluzioni

di Emanuele Ghiani
30 Ottobre 2013
in Interviste
Meschieri (Fillea Cgil), le aziende devono innovare e puntare a nuove soluzioni

Giorni fa è stata siglata l’ipotesi di accordo per il rinnovo del contratto nazionale Unital/Confapi legno e arredo, firmato dalle organizzazioni sindacali Filca Cisl, Feneal Uil e Fillea Cgil. Il contratto, che riguarda oltre 21 mila lavoratori, prevede aumenti in busta paga e vari miglioramenti sull’assistenza sanitaria, la previdenza complementare e sull’apprendistato. Il diario del lavoro ne ha parlato con la segretaria nazionale della Fillea Cgil, Mariella Meschieri.

Mariella Meschieri, che valutazione dà all’accordo?
Positiva, come sempre quando si rispettano i contratti, soprattutto in momenti di crisi come quello che stiamo vivendo.

Molti sostengono che ci sono i primi segni di ripresa. Voi li vedete? 
Forse abbiamo bisogno di una lente di ingrandimento, ad oggi non ci sono. È vero che le aziende in passato erano in difficoltà e si sono riprese, ma attenzione alla lettura di questo dato:  molte aziende sono fallite ed è per questo che le altre si sono risollevate.

Riguardo alla ripresa nel settore del legno?                                                                   
Penso che in questo settore non si ritornerà ai livelli che c’erano prima della crisi.

Esistono problemi di struttura, al di là della crisi?                                          
Il problema risiede anche nella mentalità italiana. Facciamo un esempio. In questi anni ha prevalso la logica che il mercato si autoregola, in altre parole, si crea occupazione lasciando mano libera alle aziende, riducendo diritti e salari. Questa logica è fallita tanto è che il sistema non funziona più. La cultura di molte imprese si è imperniata su quella logica, non hanno investito né in ricerca né in qualità, né in innovazione e questo ha portato alla chiusura di migliaia di aziende. La concorrenza la reggi non sui bassi costi ma sulla qualità e innovazione. È questa cultura che deve essere cambiata.

Come può cambiare la situazione? Cosa dovrebbero fare le aziende?   
Dovrebbero innovare, puntare alla ricerca di nuove soluzioni. Ma le aziende non hanno mai avuto uno stimolo forte per innovare…

Lo Stato non ha svolto un adeguato piano di intenti?                          
Sicuramente è importante una politica industriale per il paese, ma il problema è anche un’altro. La media o piccola impresa, anche se bella e innovativa, da sola non regge, se non si aggrega. Quindi è fondamentale creare reti. In questa direzione qualcosa già esiste, va incrementata. E sopratutto deve cambiare la mentalità di chi investe.

Esiste al riguardo qualche differenza tra la mentalità del Nord e quella del Sud? 
Non c’è differenza, la mentalità individualista è anche a Nord.

Ritornando all’accordo, la trattativa è stata difficile?        
No, anche perché abbiamo potuto lavorare sul precedente accordo per tutto il settore.

Si poteva fare di più? Avete avuto rimpianti?                   
Certo, si può sempre fare di più nella vita, ma avendo già firmato con Federlegno è ovvio che gli altri accordi sono similari. Dal punto di vista dei costi, non possiamo chiedere di più da una parte e contemporaneamente si ha meno dall’altra nello stesso settore, ci si fa concorrenza da soli, quindi bisogna allinearsi. Ci sono, ad esempio, molti punti similari a Federlegno, come l’aspettativa per le malattie tumorali e leucemiche. Anche i contratti a termine sono quasi uguali.

Ci sono elementi di differenza o in più rispetto agli altri accordi?                   
Si, alcuni elementi ci sono, come  l’aspettativa non retribuita per chi è affetto da ludopatia. Nel contratto Federlegno non prevede nulla al riguardo, in questo contratto invece viene riconosciuta come malattia sociale. Abbiamo più diritti d’informazione, qualità d’impresa e più responsabilità d’impresa.

Cosa intende per responsabilità d’impresa?                                                     
Intendiamo la sostenibilità ambientale, l’applicazione rigorosa dei contratti e delle leggi, quindi la legalità. Ma anche la responsabilità sociale, non solo verso i fornitori, ma anche per i dipendenti.

Avete altri nodi da sciogliere? Farete altri incontri?
A gennaio terremo un incontro con le associazioni datoriali per discutere di vari punti.

Ad esempio?
Come la costituzione di una commissione paritetica, formata dalle parti sociali. Oppure il problema del mobbing e delle molestie.

Emanuele Ghiani

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Emanuele Ghiani

Emanuele Ghiani

Redattore de Il diario del lavoro.

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