Servizio video di Emanuele Ghiani; Interviste di Fernando Liuzzi
Con l’Assemblea dei 500, svoltasi ieri a Roma, presso il teatro Italia, i sindacati dei metalmeccanici hanno compiuto una tappa significativa lungo il percorso che punta al rinnovo del Contratto nazionale attualmente vigente per i lavoratori della massima categoria dell’industria manifatturiera. Ovvero al rinnovo del Contratto che, il 5 febbraio del 2021, in piena epidemia da Covid-19, fu firmato da Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil con Federmeccanica e Assistal, le due organizzazioni imprenditoriali aderenti a Confindustria che associano le imprese del settore che raggruppa l’industria metalmeccanica propriamente detta e quella della installazione di impianti.
Il rinnovo contrattuale di cui stiamo parlando, ricordiamolo subito, grazie ai dati che sono stati forniti ieri dai tre sindacati, riguarda più di 1 milione e 500 mila fra lavoratrici e lavoratori. Questi lavoratori costituiscono circa il 6,2% degli occupati nel nostro Paese. Ma va sottolineato che, grazie anche al loro impegno, i risultati delle attività produttive delle circa 30.000 imprese in cui tali lavoratori prestano la loro opera, sono stati pari, nel 2022, all’8% del nostro Pil e al 45% delle nostre esportazioni. Questo, in generale. Se, invece, si fa riferimento solo all’insieme dell’industria manifatturiera, si vedrà che il comparto metalmeccanico rappresenta il 44% dell’occupazione e quasi il 50% del valore aggiunto.
Chiarite le proporzioni del settore economico di cui ci stiamo occupando, torniamo al percorso del rinnovo contrattuale cui abbiamo sopra accennato. Dalla metà di dicembre dell’anno scorso, alla metà di gennaio dell’anno in corso, i tre sindacati confederali dei metalmeccanici, in vista di tale rinnovo, hanno avviato quella che è stata definita come una fase di ascolto delle voci di lavoratrici e lavoratori. Fase volta a raccogliere le problematiche più diffusamente o più acutamente avvertite nella categoria.
Al termine di questo ampio e partecipato sondaggio, le Segreterie nazionali di Fim, Fiom e Uilm hanno messo a punto una Ipotesi di Piattaforma composta da una premessa cui seguono 11 punti rivendicativi, ciascuno dei quali è, a sua volta, abbastanza articolato.
Due giorni fa, ovvero nella giornata di lunedì 19 febbraio, si sono poi riuniti a Roma, separatamente, gli organismi dirigenti nazionali dei tre sindacati. Organismi cui è stata sottoposta la stessa Ipotesi di Piattaforma e che, dopo approfondite discussioni, la hanno approvata.
Dopodiché, come si diceva all’inizio, ieri, martedì 20 febbraio, l’Ipotesi di Piattaforma è stata presentata alla cosiddetta Assemblea dei 500, ovvero a un’assemblea composta da delegati provenienti dai luoghi di lavoro e da dirigenti locali dei tre sindacati. Anche se, a quanto pare, i lavoratori e i sindacalisti presenti ai lavori dell’assemblea, svoltasi in mattinata, sono risultati ben più di 500.
Ma non si deve credere che il percorso di cui stiamo parlando sia finito qui. Infatti, si può dire che cominci adesso un’altra delle pagine più importanti del percorso stesso, ovvero quella della validazione democratica dell’ipotesi rivendicativa. Lunedì prossimo, 26 febbraio, si aprirà una campagna di assemblee, volta a portare tale ipotesi alla conoscenza diretta del maggior numero possibile di metalmeccaniche e metalmeccanici. Infine, da venerdì 8 a domenica 10 aprile, si svolgerà il referendum in cui l’ipotesi di piattaforma verrà sottoposta al voto segreto delle lavoratrici e dei lavoratori.
L’abbiamo fatta un po’ lunga. Ma questa scelta del vostro cronista, pur discutibile, non è stata fatta a caso. E’ stata fatta perché ci è parso necessario ricordare tutti i passaggi di un percorso che, intenzionalmente, vuole essere ancora all’altezza delle tradizioni democratiche della categoria, quelle tradizioni che risalgono all’autunno caldo del 1969, ovvero alla fase che portò alla formazione dei mitici Consigli di fabbrica.
Ma veniamo adesso alla struttura della piattaforma e ai suoi contenuti. Struttura e contenuti che ieri, dopo la conclusione della citata assemblea, sono stati illustrati alla stampa dai Segretari generali dei tre sindacati dei metalmeccanici, ovvero da Roberto Benaglia (Fim-Cisl), Michele De Palma (Fiom-Cgil) e Rocco Palombella (Uilm-Uil).
Come sopra accennato, l’ipotesi rivendicativa presentata ieri si articola su 11 punti: relazioni industriali; inquadramento; welfare integrativo; ambiente, salute e sicurezza sul lavoro; occupazione e mercato del lavoro; riduzione dell’orario di lavoro; conciliazione fra tempi di vita e lavoro; politiche di genere; salario; diritti sindacali; percorso democratico.
L’ultimo punto lo abbiamo già visto e commentato. Qui basterà aggiungere che la pratica della “consultazione certificata” non vale solo all’andata, ma, ovviamente, anche al ritorno, se così si può dire. In altre parole, anche l’auspicata ipotesi di accordo, quando sarà definita, verrà sottoposta al “voto segreto delle lavoratrici e dei lavoratori”.
Quanto ai primi dieci punti dell’ipotesi illustrata ieri, diciamo subito che non è semplice riassumerli in questa sede. Infatti, la piattaforma ha una sua indubbia complessità. Ci proponiamo quindi di ritornare su di essi con specifici contributi analitici.
Ci sono però tre cose che possiamo dire già adesso. Qualche parola su salario e orario e un primo giudizio sull’insieme dell’ipotesi rivendicativa.
Si sa che, di fronte all’apertura di una vertenza contrattuale, i cronisti si sentono in dovere di rispondere subito alle due domande che, con ogni probabilità, verranno proposte per prime dal pubblico dei lettori, dei radioascoltatori o dei telespettatori: “Quanti soldi in più”; e “Quante ore in meno”. Richieste di informazione certamente legittime. Ma il fatto è che la cultura sindacale maturata nel confronto fra rappresentanti dei lavoratori e rappresentanti delle imprese nella categoria dei metalmeccanici, almeno a partire dal Contratto rinnovato nel novembre del 2016, ha maturato delle sue complessità che rendono più difficile rispondere seccamente a quelle due domande.
Ma cerchiamo di farlo, a partire dal tema, per certi aspetti, più attuale, quello dell’orario di lavoro. Un tema che la piattaforma affronta avendo in mente, e citando i nessi, fra questa problematica e “i cambiamenti epocali” che sono oggi in corso a causa delle transizioni “ecologica, digitale e tecnologica”, nonché con gli annessi “processi di riorganizzazione e crisi”.
Ebbene, avendo presenti le esperienze già fatte in tema di “rimodulazione” degli orari – “telelavoro, lavoro agile, ecc.” -, nonché le tematiche del “maggior utilizzo degli impianti” e delle conseguenti “nuove turnistiche”, oltre alla problematica della “conciliazione” fra “tempi di vita e di lavoro”, l’ipotesi di piattaforma non chiede una riduzione secca dell’orario, ma chiede che “si avvii una fase di sperimentazione contrattuale” con “l’obiettivo di raggiungere progressivamente una riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore settimanali”. E ciò “facendo salve le intese aziendali esistenti”.
Insomma, come nella miglior tradizione sindacale italiana, la piattaforma cerca di mantenere e implementare un rapporto virtuoso, di reciproca implementazione, fra contratto nazionale e contrattazione aziendale. Allo stesso tempo, non presenta una rivendicazione del tipo prendere o lasciare, ma si propone di avviare un percorso che possa tenere insieme, anche qui in modo virtuoso, i nuovi bisogni sia dei lavoratori che delle imprese.
E veniamo al salario. Innanzitutto, dobbiamo ricordare che gli ultimi effetti retributivi del Contratto attualmente vigente scatteranno a fine giugno del corrente anno. È infatti ai primi di giugno che l’Istat deve rendere noto l’andamento dell’inflazione misurato dall’Ipca, ovvero dall’Indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi dell’Unione europea, depurato dai costi energetici importati. Annuncio che dovrebbe avere effetti cogenti sul pagamento dell’ultima tranche degli aumenti salariali contemplati dall’accordo del febbraio 2021.
Dopodiché, ci limiteremo qui a osservare che la piattaforma di cui stiamo parlando si appoggia, saldamente, su tre punti fermi: i Contratti nazionali di categoria del novembre 2016 e del febbraio 2021, nonché il Patto per la fabbrica definito nel marzo 2018 tra Cgil, Cisl, Uil e Confindustria. Con tutto ciò che questo significa in materia di rapporto tra inflazione e difesa del potere di acquisto delle retribuzioni.
Ciò detto, nell’ipotesi di piattaforma si può leggere che “la nostra richiesta di aumento, relativa al periodo di vigenza 2024-2027, è pari a 280 euro al livello C3 (ex 5° categoria)”. Laddove questa cifra media va intesa come somma di aumenti scaglionati anno per anno.
Infine, eccoci al primo giudizio complessivo cui ci eravamo impegnati. Letta e riletta l’ipotesi di piattaforma, ci pare di poter dire che ci troviamo di fronte a un testo frutto di serie riflessioni. Un testo, ancora, che, pur partendo dai risultati acquisiti con i precedenti contratti, o anzi, forse proprio perché fa tesoro delle esperienze più recenti, oltre che di quelle passate, cerca di trovare risposte possibili non solo ai nuovi problemi oggi avvertiti da lavoratrici e lavoratori (salute, sicurezza, orari), ma anche alle problematiche generali, come appunto quelle delle cosiddette transizioni oggi in corso (ambientale, tecnologica e digitale) che pongono domande ineludibili alle stesse imprese.
@Fernando_Liuzzi