Molti mesi fa, all’inizio della campagna per i referendum, Maurizio Landini, un po’ scherzando e un po’ no, aveva lanciato questo mantra: “se ciascuno dei nostri 5 milioni di iscritti porterà alle urne cinque persone, otterremo il quorum”. Come è noto, l’obiettivo non è stato centrato, e la media, come ha calcolato lo stesso segretario della Cgil, è stata solo di tre persone a testa. Non a Milano, però: dove i 200 mila iscritti hanno ‘’fruttato’’ 850 milioni di voti, cioè 4,25 persone a testa. Al di la delle battute, c’è la realtà di un dato notevole, migliore della media nazionale, ottenuto con una ricetta ‘’antica’’: più contatto dal vivo, con persone in carne e ossa, più territorio, e meno social. Ne abbiamo parlato con Luca Stanzione, segretario generale della Cgil milanese, tracciando un bilancio del post referendum.
Stanzione, malgrado il mancato quorum, siete soddisfatti della risposta alla vostra campagna referendaria?
Nell’area metropolitana di Milano 850.000 persone hanno detto con chiarezza che quelle leggi sono da abrogare. Sono persone che in molti casi alle europee non erano andate a votare. Per fare un raffronto: fatta 100 la propensione al voto dell’elettorato relativo alle forze politiche che hanno partecipato alla campagna, lo stesso dato, riferito al referendum è 126. Significa che i nostri quesiti hanno portato 26 persone in più alle urne. Persone che si erano rifugiate nell’astensionismo, e che, come ci dice lo studio dell’Istituto Cattaneo, erano per lo più persone vicine al centro sinistra. Un dato che riteniamo importante, perché ci parla della capacità di attrazione del referendum
Secondo lei, a cosa è dovuta questa capacità di attrazione?
È dovuta al fatto che i referendum, con i suoi quattro quesiti sul lavoro, affrontava temi sentiti dalle persone come reali, ed è stato vissuto da tanti come una vera possibilità di cambiamento.
Inoltre, è stata fondamentale l’alleanza che si è creata tra pezzi di società organizzata, sindacato, partiti. Una strada sulla quale la Cgil ora dovrebbe proseguire, per consolidare una alleanza politica- sociale in cui si lavori assieme, ovviamente ciascuno nel suo ruolo.
Avete fatto molto lavoro sul territorio, con che esito?
Il presidio del territorio fa la differenza anche rispetto all’astensione. Per esempio, se guardo ai quartieri periferici, che di solito non votano, o votano pochissimo, abbiamo avuto una percentuale più alta di persone che sono invece andate a votare, mentre il centro città ha votato meno. Perché i quesiti hanno toccato nel vivo la condizione delle persone e intercettato un voto più popolare.
La vostra è stata una campagna elettorale all’antica, basata sul rapporto diretto con le persone, decisamente insolita rispetto a tempi in cui dominano i social, l’Ai. Perché questa scelta?
Abbiamo scartato la campagna sui social perché sapevamo che l’algoritmo avrebbe deciso dove indirizzare, e a chi, il nostro messaggio: questo non ci avrebbe consentito di intercettare le persone che più ci interessava coinvolgere nella campagna. Quindi abbiamo scelto di rompere la bolla, e andare a incontrare fisicamente le persone, in carne e ossa. Nel solo mese di maggio abbiano organizzato 1.200 iniziative sui territori, e poi tanto volantinaggio, assemblee pubbliche, incontri con la gente nelle piazze. E questo ha pagato, anche e soprattutto nelle periferie, in un modo che ha stupito perfino noi. Per esempio: avevamo organizzato una assemblea pubblica a Quarto Oggiaro, quartiere difficilissimo, con una astensione molto elevata. Pensavamo di non trovare nessuno, e invece la piazza era piena di gente. Abbiamo anche fatto un centinaio di iniziative rivolte agli studenti, ai fuori sede, e anche in quel caso i numeri dicono che è stato utile: moltissimi quelli che hanno votato.
La risposta che non ci si attendeva, e che più ha deluso, è stata quella sul quesito relativo alla cittadinanza, dove una gran parte di “no” è arrivata dai partiti della sinistra. Come lo spiega?
Il voto contrario è arrivato anche da sinistra, non c’è dubbio, lo dimostra l’analisi dei dati. Ma devo a Milano, pur confermando la tendenza nazionale, il no è stato leggermente inferiore. La metropoli cosmopolita ha risposto certamente meglio che altrove.
Ora che tutto è finito, che morale si trae da questa campagna, e come pensate di proseguire?
Alla luce di questi mesi, credo che oggi occorra realizzare una alleanza tra politica e società, tra politica e sociale, per dire al prossimo governo che, nei primi cento giorni, dovrà impegnarsi ad abrogare quelle leggi che il referendum chiedeva di abrogare. Se quel 30 per cento di elettori non è stato sufficiente per ottenere il quorum, quei molti milioni di persone che hanno votato ugualmente chiedono, e meritano, una risposta: altrimenti, ci saranno milioni di persone che restano senza rappresentanza politica. Per quanto ci riguarda, insieme ai comitati, ai partiti, alle associazioni, abbiamo ricevuto una delega da 850.000 persone: proporrò dunque a partiti e associazioni di continuare questo cammino assieme. Credo che questa idea diversa di Paese possa innervare una Milano che guarda al lavoro, come sempre, ma a un lavoro che va valorizzato, non svalorizzato. Un lavoro che va tutelato, protetto dalla tanta speculazione che purtroppo vediamo. Un lavoro che va reimmaginato, per il futuro.
Con quali modalità?
Terremo aperti i comitati elettorali, per provare a realizzare una vertenzialità che possa anche cambiare a seconda dei territori, che possa essere modulata sulle esigenze diverse delle aree, delle persone cui si rivolge, su temi che possono andare dagli appalti alla sanità, lavorando assieme alle realtà, alle associazioni, ai partiti. Poi, ci sarà una riflessione più generale all’interno della Cgil, su come proseguire, sulle modalità. Ma la direzione che ci arriva dall’esito di questo referendum è già abbastanza chiara, la mobilitazione non si ferma.
Nunzia Penelope