Le pensioni italiane sono le più generose d’Europa; inoltre, l’età media di uscita è di 64 anni e due mesi, contro i 67 previsti come requisito ‘’base’’. Due caratteristiche che, sommate, rischiano di creare squilibri per l’intero sistema previdenziale. È quanto emerge dal Rapporto annuale dell’Inps, presentato oggi alla presenza del capo dello Stato Mattarella, del presidente della Camera Fontana e del ministro del Lavoro Marina Calderone. Sulla tenuta delle pensioni, avverte l’Inps, pesa anche la demografia sfavorevole: le previsioni Eurostat per l’Ue relative agli andamenti demografici “fanno presagire un peggioramento del rapporto tra pensionati e contribuenti, con rischi crescenti di squilibri per i sistemi previdenziali, soprattutto per quei paesi, come l’Italia, dove la spesa previdenziale è relativamente elevata”.
Nel 2023 l`importo lordo della spesa pensionistica era poco sotto i 347 miliardi di euro, di cui 338 miliardi di euro per pensioni erogate dall`Inps. Oltre la metà della spesa pensionistica totale – si legge ancora nel Rapporto – è stata per pensioni di anzianità e anticipate, seguite da pensioni di vecchiaia e pensioni al superstite. Le prestazioni assistenziali (agli invalidi civili e pensioni/ assegni sociali) hanno assorbito l`8% del totale. La spesa previdenziale italiana e’ elevata essenzialmente per due ragioni: l’età effettiva di accesso alla pensione di vecchiaia è ancora relativamente bassa a causa di numerosi canali di uscita anticipata, nonostante un’età legale a 67 anni, tra le più alte in Europa; inoltre, le nostre pensioni sono, in media, piuttosto generose: il tasso di sostituzione rispetto all’ultima retribuzione è tra i più elevati in UE, quasi 15 punti percentuali sopra la media europea. Nel 2021, segnala l’Inps, la spesa previdenziale italiana è stata pari al 16,3% del Pil, inferiore solo a quella della Grecia, a fronte di una media europea del 12,9%.
Tra il 2019 al 2021 i pensionamenti anticipati rispetto all’età di vecchiaia sono stati circa 500mila l’anno, per poi scendere nel 2022 sotto quota 400mila e fissarsi a 300mila nel 2023. Tra il 2019 e il 2021 ha avuto un ruolo in questo trend anche Quota 100, ma la parte principale in tutti e cinque gli anni l’ha avuta l’uscita con 42 anni e 10 mesi di contributi (41 e 10 per le donne) possibile indipendentemente dall’età anagrafica. Considerando i soli pensionati Inps e al netto dell’Ape sociale, nel periodo considerato, l’età media al pensionamento è aumentata da 62,1 a 64,6 anni, passando da 59,5 a 61,5 anni per le pensioni anticipate e da 64,1 a 67,5 anni per quelle di vecchiaia. Inoltre, rispetto al 2022, l’importo lordo mensile medio delle pensioni è aumentato del 7,1%» a 1.373,17 euro, in parte a causa della perequazione.
Gli importi medi più elevati si registrano al Nord e nel Lazio, mentre i più bassi in Calabria e nel resto del Mezzogiorno. Ma quanto a importi bassi, il Rapporto segnala un ulteriore prova del gender pay gap: su totale di 16.205.319 di pensionati, 7,8 milioni sono maschi e 8,4 milioni donne, cioè il 52%. Che tuttavia, percepiscono solo il 44% dei redditi pensionistici, ovvero 153 miliardi di euro, contro i 194 miliardi dei maschi. L’importo medio mensile dei redditi pensionistici percepiti dagli uomini risulta superiore a quello delle donne di circa il 35%. Per gli uomini, infatti, il reddito da pensione è in media di 2.056,91 euro mentre per le donne è di 1.524,35 euro.
Nel 2023 i lavoratori iscritti all’Inps con almeno una settimana di contributi sono stati 26,6 milioni, oltre 1,08 milioni in più del 2019. Le settimane lavorate in media nel 2023 per ogni assicurato sono state 43,1 a fronte delle 42,9 medie del 2019. Hanno trainato l’aumento i dipendenti privati a tempo indeterminato mentre si sono ridotti gli autonomi. Si registrano poi 540mila lavoratori in più nati in Paesi extra Ue. Ma al recupero occupazionale, sia in termini di unità che di intensità di lavoro, osserva l’Inps, “non è corrisposto un incremento dei redditi e delle retribuzioni tale da compensare pienamente la perdita di potere d’acquisto conseguente all’inflazione”. L’aumento lordo dei salari monetari è stato infatti appena del 6,8% a fronte di un aumento dei prezzi attorno al 15-17%. L’aumento delle retribuzioni monetarie è del 10,4% netto tra il 2021 e il 2023 anche grazie agli interventi di decontribuzione. In media le retribuzioni (comprese quelle part time e quelle dei contratti per solo una parte dell’anno) nel 2023 sono state pari a 25.789 euro lordi nell’anno. L’importo in media ha raggiunto i 39.176 euro per quelle full time e full year.
A ottobre 2023, il 79% dei lavoratori, pari a circa 11,6 milioni di individui, ha beneficiato della riduzione contributiva. Questa percentuale aumenta all’84% per le donne e supera il 90% per i giovani sotto i 35 anni. L’importo medio mensile della decontribuzione, corrispondente ad un aumento della retribuzione imponibile lorda, è stato di circa 100 euro (123 euro se si considerano i rapporti a tempo pieno e attivi per l’intero mese). L’effetto complessivo dell’esonero contributivo, del trattamento integrativo, delle modifiche alle aliquote e alle detrazioni – si legge ancora nello studio – ha contribuito ad attutire in maniera importante l’impatto dell’inflazione. Se analizziamo, infatti, la variazione della retribuzione netta corrispondente al salario medio lordo degli anni 2021 e 2023, l’incremento sale da circa il 6,9% per il lordo ad un più consistente 10,4% per il netto. Si tratta, in ogni caso, di un valore ancora distante dal recupero pieno dell’inflazione
Per quanto riguarda il flusso di nuovi beneficiari di pensioni, le prestazioni liquidate dall`Inps lo scorso anno sono state pari a circa 1,5 milioni, un livello analogo a quello del 2022. In termini di composizione, le prestazioni assistenziali liquidate sono cresciute del 5,7% rispetto all`anno precedente, mentre quelle previdenziali sono diminuite del 4,7% per effetto di una riduzione delle pensioni anticipate (-15,5%), in parte legato al progressivo inasprimento dei requisiti delle quote che erano state introdotte temporaneamente a partire dall`anno 2019 con Quota 100.
“Se da una parte è necessario continuare a mantenere e a potenziare la capacità di liquidare indennità e pensioni, con la massima efficienza e garantendo la sostenibilità del sistema previdenziale, dall`altra è sempre più urgente strutturare l`amministrazione per erogare servizi che accompagnino i cittadini, soprattutto i più giovani, le donne e i soggetti più fragili, a conquistare una posizione stabile e di maggiore benessere”, ha detto il presidente dell’Inps, Gabriele Fava, presentando il Rapporto.
In particolare, ha sottolineato Fava, l`attenzione “deve essere posta sul lavoro giovanile e femminile, entrambi caratterizzati da carriere segnate da importanti discontinuità. E’ cruciale implementare politiche mirate a ridurre il numero dei neet, fermare l`emigrazione dei giovani all`estero e incentivare il ritorno di coloro che hanno scelto questa strada negli ultimi anni. Allo stesso tempo, è necessario valorizzare le potenzialità derivanti da un maggiore coinvolgimento delle donne nel mercato del lavoro. Politiche pubbliche orientate in tal senso potrebbero contribuire ad aumentare sia il tasso di occupazione che la produttività del lavoro, con benefici anche per il sistema previdenziale”.