“Orgoglioso” di Stellantis e della sua “lunga storia”, la storia di una azienda tra le pochissime sopravvissute, appena l’1%, tra quelle nate in Italia all’inizio del Novecento. Un’azienda che è cresciuta assieme al paese e alla sua economia, e che intende continuare a crescere assieme:
“se tra poco vi parlerò di investimenti, nuovi modelli e di tecnologie avanzate, significa che questa forza, questa volontà di progresso e il coraggio di guardare al futuro sono sempre presenti”. Così ha esordito John Elkann, nel corso di un’audizione informale nelle commissioni riunite Attività produttive di Camera e Senato, convocata per fare il punto sulla situazione di Stellantis.
Elkann ricorda che nel 2003, quando morì Gianni Agnelli, “la Fiat Auto fatturava 20 miliardi di euro e ne perdeva due. Con i suoi 4 marchi vendeva un milione e 700mila veicoli, di cui quasi la metà in Italia, ed era fuori dalla top ten dei costruttori mondiali. Molti parlavano nel 2004 della Fiat come un`azienda spacciata, fallita o da nazionalizzare. Nonostante la situazione drammatica, la mia famiglia si è assunta la responsabilità di difendere l’azienda e chi ci lavorava, investendo nuove risorse e mettendo le basi per il rilancio”. Oggi, “Stellantis è il quarto costruttore al mondo, è redditizio e fattura 157 miliardi. Con i suoi 14 marchi vende 5 milioni e mezzo di veicoli, di cui meno della metà in Europa”. Di questo “straordinario percorso di sviluppo”, insiste Elkann, “l`Italia e gli italiani hanno avuto grande merito e a tutto il Paese va la nostra gratitudine”. E tuttavia, questi vent’anni non sono stati positivi per l’auto in generale: “il mercato domestico è calato del 30%, mentre l’occupazione si è ridotta di circa il 20%”. Dunque, sottolinea il presidente di Stellantis, “questo significa che l’azienda ha difeso la produzione e l’occupazione degli stabilimenti italiani”. Per cui – non lo dice, ma va da sé- il ringraziamento dovrebbe quanto meno essere reciproco.
Per essere più chiaro, Elkann porta delle cifre, frutto di uno studio indipendente commissionato alla Luiss, basato sugli anni 2004-2023, cioè quelli che hanno lo hanno visto al timone dell’azienda di famiglia: nel periodo considerato, Stellantis ha prodotto in Italia 16,7 milioni di autovetture e veicoli commerciali, per un valore complessivo della produzione nazionale di quasi 700 miliardi di euro. “Calcolando gli effetti sulla filiera e le ricadute sui consumi delle famiglie, il valore complessivo della produzione in Italia negli ultimi venti anni sale a 1.700 miliardi di euro, con un valore aggiunto di 417 miliardi: per ogni euro di valore creato da Stellantis, se ne generano 9 nel resto dell’economia”, sottolinea. Senza contare il contributo dato dagli impianti al Mezzogiorno, dove l’auto ha portato “lavoro, investimenti, sviluppo imprenditoriale, crescita infrastrutturale”.
“Spero che da oggi il bilancio dare/avere tra il Paese e l’azienda non sia più un tema divisivo, ma un’opportunità per continuare questo percorso virtuoso insieme che dura da 125 anni, orgogliosamente con l’Italia”, ha ribadito Elkann, riferendosi alle critiche e alle polemiche politiche che hanno colpito per mesi la casa torinese. “Per l’anno in corso- conferma- stiamo spendendo circa 2 miliardi di euro di investimenti e 6 miliardi di euro in acquisti da fornitori italiani”. E ancora: “dalla sua nascita nel gennaio 2021, Stellantis ha acquistato servizi e componenti dalla filiera italiana dell’auto per un valore di 24 miliardi di euro, che diventeranno 30 alla fine del 2025”.
Elkann ha confermato poi che tutti gli impegni presi al tavolo col governo e i sindacati “li stiamo realizzando puntualmente”: “ribadiamo il nostro impegno in Italia e per l’Italia con passione, responsabilità e professionalità, ma soprattutto perché ci crediamo”. Ma ovviamente occorre tenere conto del contesto internazionale: “Dal 2026 – spiega- si prevede un aumento della produzione grazie al lancio di 10 nuovi aggiornamenti di prodotto nelle fabbriche italiane,” i cui livelli produttivi, però, “dipenderanno dal mercato e da fattori esterni come i dazi”.
Pesano anche le incertezze dovute ai vari tentennamenti sul passaggio all’elettrico, e anche, forse soprattutto, la mancanza di pianificazione e di una politica industriale, a livello europeo e nazionale: “questo settore è un esempio chiave della mancanza di pianificazione – ha detto – a cui è stata imposta una rigida politica climatica senza aver creato le condizioni industriali che la favoriscano”. Le norme sulla decarbonizzazione “hanno creato un mercato frammentato e non omogeneo. Per fare un esempio: nel 2024 in mercati piccoli come Belgio, Svezia, Olanda, Finlandia e Danimarca, la quota di immatricolazioni di veicoli elettrici è superiore al 30%. Ma nei principali mercati europei (Germania, Francia, Italia e Spagna), che rappresentano il 70% del totale delle immatricolazioni europee, questa quota non supera il 17%, con il dato italiano che stenta a muoversi dal 4% da due anni. In altre parole, in Belgio si vendono il doppio delle auto elettriche vendute in Italia”.
“Quest’anno – ricorda Elkann- ci è stato chiesto di arrivare al 20% di elettriche, ed è quello per cui ci siamo preparati. Ma poi a marzo è cambiato tutto. Noi chiediamo certezze per poter operare”.
“Noi – prosegue- continuiamo a sostenere che l’elettrificazione è lo strumento più efficace per raggiungere la decarbonizzazione, ma allo stesso tempo, per centrare gli obiettivi climatici del 2035 è necessario utilizzare l’intera gamma di tecnologie a basse e zero emissioni, sia per i nuovi veicoli che per la flotta esistente”. In questo quadro, se pure “le modifiche al regolamento CO2 annunciate due settimane fa dalla commissione europea vanno nella direzione di posticipare gli oneri a carico dei costruttori che non riescono a rispettare gli obiettivi nel breve termine”, ha osservato, “si tratta tuttavia di interventi di corto respiro, che non danno la necessaria certezza al mercato”.
L’auspicio è di trovare il punto di sintesi “capace di conciliare la sostenibilità ambientale con quella economica e sociale”. Nel frattempo, “è urgente potenziare l’infrastruttura di ricarica: la mancanza di una solida rete di colonnine scoraggia gli acquirenti di veicoli dall’optare per i modelli elettrici. Nonostante i progressi compiuti negli ultimi anni, il ritmo di installazione rimane troppo lento e non sufficiente a convincere i clienti a passare all’elettrico. Quasi il 60% di tutte le stazioni di ricarica europee si trova in soli tre paesi: Germania, Francia e Olanda. In Italia ci sono meno di un terzo delle colonnine installate in Olanda”.
E poi ci sono i costi dell’energia, che vedono i produttori automobilistici europei affrontare uno svantaggio strutturale rispetto ai loro concorrenti cinesi, pari al 40% del costo manifatturiero complessivo. In particolare, sottolinea Elkann, i prezzi dell’energia di paesi produttori di auto europei risultano 5 volte più alti di quelli cinesi, e per quanto riguarda una Gigafactory, il consumo di energia necessario è 10 volte superiore a quello di uno stabilimento produttivo di autovetture. “Per questa ragione -ribadisce- l’Europa dovrebbe far scendere i prezzi dell’energia a valori competitivi globali e di mantenerli a livelli costanti e prevedibili”. Ma anche tra Italia e il resto d’Europa i costi sono incomparabili: “produrre un’auto in Spagna costa 516 euro, produrla in Italia 1.414 euro, e la differenza è dovuta ai costi dell’energia. È il punto chiave su cui intervenire”.
“Il costo della batteria ad oggi rappresenta fino al 45% del costo totale del veicolo elettrico – ha aggiunto Elkann – oggi sono attive 263 Gigafactory in tutto il mondo: 214 sono localizzate in Cina, solo 13 in Europa. Le aziende cinesi hanno il primato del mercato, non solo in termini di produzione ma soprattutto di tecnologia. L’impegno della commissione europea di mettere a disposizione 1,8 miliardi di euro con l`Industrial Action Plan per produrre batterie a livello europeo è uno sforzo iniziale ma non sufficiente a colmare il divario con la Cina”. Il settore tra 20 anni produrrà soprattutto automobili elettriche: ma mentre Cina e Stati Uniti “stanno definendo una politica industriale per l’auto, con normative e risorse orientate a raggiungere i loro interessi nazionali”, l’ìEuropa ancora non si muove: “Noi -sottolinea Elkann- auspichiamo che ciò possa accadere presto anche in Europa. Perché in questo mestiere definire un quadro chiaro è fondamentale per tutti gli attori: costruttori, sindacati, fornitori, concessionari e clienti”.
Infine, rispondendo a una domanda sull’ipotizzata conversione di auto in armamenti vari, Elkann è netto: “Il futuro dell`auto non è l`industria bellica. Usa e Cina ci insegnano che si possono avere una industria bellica e una industria auto dell’auto, non è necessario fare una scelta”
Redazione