Convegni, manifestazioni sportive e momenti di ricordo: a quattro anni dalla tragedia, avvenuta la notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007, Torino non ha dimenticato i sette operai morti nel rogo dell’acciaieria ThyssenKrupp.
Ne ha onorato la memoria in maniera non formale, ma organizzando la terza “Settimana della sicurezza” nell’ambito della quale i familiari delle vittime hanno chiesto un processo d’appello rapido nei confronti delle sei persone (tra cui Harald Espenhahn, amministratore delegato dell’azienda) condannate in primo grado.
La tragedia avvenne poco dopo la mezzanotte. Da un incendio che all’inizio sembrava piccolo e controllabile, uno dei tanti che si accendono quando si lavora l’acciaio, si svilupparono un’esplosione e un “onda anomala di fiamme”, come riferì Antonio Boccuzzi, il deputato del Pd che è l’unico sopravvissuto degli operai in servizio sulla linea 5 della fabbrica. A perdere la vita furono, subito o dopo un’agonia durata in alcuni casi anche molti giorni, Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò e Giuseppe Demasi.
L’inchiesta giudiziaria, condotta dai pm Raffaele Guariniello, Laura Longo e Francesca Traverso, accertò lo “stato di abbandono” in cui versava lo stabilimento: estintori scarichi o malfunzionanti, personale ridotto all’osso, sudiciume, almeno 114 violazioni delle norme sulla sicurezza.
Lo scorso 15 aprile, con una sentenza storica, la Corte di Assise di Torino ha condannato l’ad Espenhahn a 16 anni e mezzo di reclusione per omicidio volontario con dolo eventuale: avrebbe accettato il rischio di provocare un terribile incidente perché, sapendo che lo stabilimento del capoluogo piemontese avrebbe chiuso nel giro di pochi mesi, avrebbe deciso di rinviare l’adozione di alcuni provvedimenti sulla linea 5. Per gli altri dirigenti, accusati solo di omicidio colposo con «colpa cosciente», le pene sono state leggermente più basse: 13 anni e mezzo per Gerald Priegnitz, Raffaele Salerno, Marco Pucci e Cosimo Cafueri, 10 anni e 10 mesi per Daniele Moroni.
Ora le difese stanno lavorando ai ricorsi contro la sentenza: si profila così l’atteso processo d’appello. “Pretendiamo tempi rapidi anche per l’appello – hanno detto oggi Grazia Cascino e Rosina Platì, madri di Rodinò e Demasi, intervenendo, insieme ad altri parenti delle vittime, a un convegno della “Settimana per la sicurezza” – esattamente come avvenuto nel giudizio di primo grado, in modo che gli assassini dei nostri cari non restino impuniti. “Potete immaginare – hanno aggiunto le due donne rivolgendosi ai numerosi ragazzi che hanno partecipato al convegno – la nostra sofferenza. Ci auguriamo che i nostri cari abbiano giustizia affinchè tragedie come quella che ci ha colpiti non accadano più”.
E una strada l’ha indicata, ancora una volta, proprio Guariniello. “È necessario – ha detto – che il datore, o il consiglio d’amministrazione nei casi di società, sia individuato sempre quale responsabile nei processi penali» per incidenti sul lavoro”. (LF)