Ci siamo mai chiesti come sarà il rientro a lavoro post pandemia da Covid-19? I nostri lavoratori come reagiranno a questo rientro? Saranno pronti ad affrontare nuovamente quella che prima era la normalità? Sono domande che un azienda dovrebbe porsi per cercare di stare maggiormente al fianco dei suoi lavoratori.
Noi tutti speravano, ma soprattutto credevamo, che fosse una cosa che sarebbe durata pochi mesi; invece a marzo 2022 entriamo nel terzo anno di emergenza. I nostri lavoratori sono tre anni che lavorano in Smart Working: i primi tempi tutti un po’ sconcertati e contrariati da questa nuova modalità di lavoro (e molti forse ancora oggi lo sono). Ma la tecnologia è venuta in nostro soccorso, e ci ha permesso di continuare a lavorare, a studiare, e anche di mantenere un legame con le persone care lontane.
Oggi i lavoratori in SW si sono abituati a lavorare nei confort della loro casa, “decidono” loro come organizzarsi il lavoro, possono fare pause più lunghe, uscire di casa e passeggiare per staccare. I contatti con i capi sono tutti via telefono o videochiamate, tramite le piattaforme, tipologia di contatto ormai abituale a tutti.
Ma come sarà il contatto quando i lavoratori rientreranno in sede e dovranno confrontarsi di persona con il capo e con i pari? Che emozioni avranno? Sicuramente ottimo sarebbe potenziare il servizio psicologi in azienda, per guidare i dipendenti a un rientro graduale in sede: non va infatti sottovalutato lo stato psicologico, elemento importante per una buona resa sul lavoro. Una proposta utile sarebbe quella di effettuare un rientro alternato, composto da alcuni giorni in sede ed altri a casa ancora in SW, e, con una cadenza prestabilita dall’azienda, avere dei colloqui con lo psicologo per valutare lo stato d’animo nel corso del ritorno in presenza.
Non solo gli studenti ed i ragazzi hanno o stanno vivendo delle ricadute causate da questa pandemia -per cui penso che sia ottimo l’aver stanziato un fondo al fronte del bonus psicologo per i ragazzi- ma anche per i lavoratori delle aziende non farebbe male un piccolo colloquio.
Nel mese di ottobre dello scorso anno il ministro Renato Brunetta ha emanato un decreto che prevedeva lo stop allo smart working per gli statali, sempre però rispettando le famose regole che ad oggi sono in vigore. Anche qui: è giusto questo stop o è giusto far si che alcune tipologie di lavoro riprendano pienamente il famoso 100% in sede, lavorando in presenza?
Quali saranno gli effetti che questa pandemia avrà sulla salute mentale non solo dei lavoratori, ma in generale su quella delle persone? Secondo uno studio condotto recentemente possiamo notare come i livelli di ansia, stress e depressione, misurati durante la fase iniziale del lockdown, siano superiori rispetto a quelli misurati prima dell’emergenza sanitaria, questo è dato proprio dallo stravolgimento che i lavoratori, ma in questo caso parlerei più di persone, hanno subito. Aggiungerei che questi stati d’animo vengono alimentati anche dalla paura che una persona possa contagiare o essere contagiata.
In conclusione, ribadisco che oggi più che mai devono essere attuati dei piani di re-inserimento al lavoro, lasciando comunque in vigore anche lo SW, che ha portato vantaggi non solo alle aziende ma anche ai lavoratori.
Giorgia Porcelli
studentessa in Risorse Umane e scienze del lavoro