Con 316 sì e 6 no, l’Aula della Camera ha approvato il Jobs act, senza far ricorso al voto di fiducia, e con modifiche rispetto al testo del Senato. Il provvedimento torna adesso a palazzo Madama per il via libera definitivo.
Tra le modifiche più significative che hanno in parte ridisegnato la delega così come uscita dal Senato, quelle che riguardano l’articolo 18. A Montecitorio è stato approvato un emendamento che esclude la possibilità di reintegro per i licenziamenti economici e la prevede per i licenziamenti discriminatori e per alcune fattispecie di licenziamenti disciplinari. Per i licenziamenti economici è previsto solo un indennizzo crescente al crescere dell’anzianità. Arrivano inoltre tempi certi per l’impugnazione del licenziamento.
L’ala dura della minoranza Pd si divide fra chi non partecipa al voto, come la maggior parte, e chi vota contro.
Sono 29 i deputati del Pd che hanno scelto di non partecipare al voto sul Jobs act e le loro ragioni le hanno esposte in un documento distribuito ai giornalisti: “I diritti di chi lavora, i diritti di chi un lavoro lo cerca: alla fine di una discussione seria e che rispettiamo noi non possiamo votare a favore del Jobs act. Abbiamo apprezzato l’impegno della commissione Lavoro della Camera e riconosciuto i passi avanti compiuti su singole norme. Tuttavia, l’impianto complessivo del provvedimento rimane non convincente”.
Il documento è firmato da Roberta Agostini, Tea Albini, Ileana Argentin, Rosy Bindi, Massimo Bray, Francesco Boccia, Marco Carra, Angelo Capodicasa, Susanna Cenni, Eleonora Cimbro, Gianni Cuperlo, Alfredo D’Attorre, Gianni Farina, Stefano Fassina, Paolo Fontanelli, Filippo Fossati, Carlo Galli, Monica Gregori, Maria Iacono, Francesco Laforgia, Gianna Malisani, Margherita Miotto, Michela Marzano, Michele Mognato, Barbara Pollastrini, Maria Grazia Rocchi, Alessandra Terrosi, Giuseppe Zappulla, Davide Zoggia.
F.P.