L’incontro tra Whirlpool e Di Maio, visto con gli occhi di un sindacalista di lungo corso, sia pure ex, è tutta un’altra storia rispetto a come l’hanno raccontato i media in questi giorni. A rivelarne il retroscena è Guglielmo Epifani, che al tavolo del Mise, il 4 giugno, c’era, seduto assieme ai dirigenti italiani dell’azienda e a Di Maio. In una intervista rilasciata a Open, il quotidiano on line di Enrico Mentana, Epifani svela il bluff del ministro dello Sviluppo e parla di un incontro più a scopo mediatico che concreto: difficile, spiega l’ex leader Cgil, che un colosso delle dimensioni della casa americana si faccia intimidire dalla minaccia del governo italiano di dover restituire 23 milioni di euro, spiccioli, nel suo bilancio. Tanto che, alla fine dell’incontro, i dirigenti se ne sono andati senza dare risposte.
«Questi tavoli, a differenza di quelli dei miei tempi, sembrano fatti più per l’esterno che per risolvere i problemi -dice Epifani a Open- Di Maio era irritato perché c’era stato un accordo qualche mese fa. E l’azienda era imbarazzata nello spiegare perché vuole chiudere o comunque riconvertire lo stabilimento, perché non ha saputo dire con precisione cosa è successo in questi mesi per cambiare posizione. Quindi l’incontro si è svolto in questa forbice: l’irritazione del ministro per l’impegno disatteso e la non capacità dell’azienda di fornire delle risposte».
Insomma, “un incontro più con finalità d’immagine che altro”, chiosa l’ex sindacalista, infatti “si è soltanto rinviato, ma senza avere un percorso, senza avere un tracciato. E’ stato un incontro un po’ così, che lascia il tempo che trova”.
Quanto all’ultimatum di Di Maio all’azienda, si chiede Epifani: «È un ultimatum che regge, che funziona? Cioè le minacce di dire “io di blocco le risorse ” è una minaccia che funziona con una multinazionale che può mettere in campo risorse enormi per ammortizzatori e questioni sociali? Su questo ho dei dubbi. E poi la stessa minaccia può valere per gli stabilimenti che restano aperti?»
“Io non so, io capisco l’irritazione, capisco la logica però non vorrei che alla fine, soprattutto di fronte a una multinazionale, si trattasse di un’arma spuntata. Parliamoci chiaro, ci fossero sostegni di miliardi di euro, di centinaia di milioni di euro capirei, ma qui parliamo di 20, 8, 5 milioni. Non so, sono molto dubbioso».
Cosa, invece, si poteva fare? «Proseguire un confronto seppure in chiave tecnica, ma non è stato neanche tentato. La riunione si è chiusa con Di Maio che ha detto “rifletteteci” e quelli se ne sono andati e quello che succederà non lo sa nessuno».
Tanto piu’ che, come ha precisato durante l’incontro al Mise ii manager italiani della Whirlpool, la decisione sta in capo al un gruppo americano: “L’azienda su un punto è stata chiara: a domanda, ha risposto che la posizione scelta non è stata presa dai manager italiani dell’azienda. è una grande multinazionale con ramificazioni a tutti i livelli. È giusto che Di Maio voglia parlare con i vertici americani, però ho dei dubbi dal punto di vista dell’efficacia: quello che è stato detto dall’amministratore delegato di Whirlpool Italia è “non crediate che sia una scelta mia””.
Però resta che i dipendenti napoletani, sotto il ministero, inneggiavano a ‘’Di Maio uno di noi’’: “Certo, ha colpito anche me vedere gli operai sotto al ministero che inneggiavano a Di Maio. Di solito, in altri tempi, si inneggiava ai sindacalisti che vincevano le battaglie. Il problema è poi se si ottiene un risultato o meno. Se poi i risultati non arrivano, quelli che oggi inneggiano a Di Maio è facile che domani votino Salvini”
Epifani esprime poi molte perplessità su cosa abbia portato l’azienda a questa decisione: “sostengono che, per ragioni di mercato, quello che produce Napoli non va bene. Ora, non è strano che in pochi mesi si scopra questo? Cosa è cambiato dall’accordo che diceva altre cose a questa decisione. Perché girano voci che dopo Napoli potrebbe toccare a Siena? Che cosa sta succedendo? Ecco, questo è il punto. Il confronto va portato sul piano della realtà delle cose: provare a capire cosa è cambiato e perché l’azienda fa delle scelte diverse da quelle che tempo fa aveva giurato e spergiurato di fare».
Ma per, appunto, portare il confronto sul piano della realtà, “ci vorrebbe un’offensiva di carattere un po’ più generale – insiste l’ex leader sindacale- e soprattutto entrare nel merito delle difficoltà e vedere in che modo il governo può aiutare l’azienda a superare le difficoltà. Cioè capire dall’interno cosa è successo e non proiettarsi, come dicevo, soltanto all’esterno. Perché decidono di portare in Polonia ciò che otto mesi fa avevano deciso di fare a Napoli? Perché adesso? Queste sono le cose che, in un confronto vero, andrebbero chiarite”.
NP