Nonostante due anni di ripresa i consumi finali degli italiani sono ancora abbondantemente al di sotto dei livelli registrati prima della recessione: al netto dell’inflazione, nel 2016 i consumi sono ancora inferiori del 4,8% ai livelli pre-crisi (2007), per circa 47 miliardi di euro in meno in valori assoluti. A lanciare l’allarme è Confesercenti in occasione dell’assemblea annuale.
La ripresa dei consumi, insomma, non è ancora arrivata: continuando ai ritmi attuali, torneremo ai livelli di consumi del 2007 solo nel 2020. La differenza di dinamismo tra esportazioni e consumi è ancora più eclatante se si esamina il differenziale di crescita tra i due: dal 2008 a oggi, l’aumento delle esportazioni ha sopravanzato quello della spesa delle famiglie di quasi 13 punti, e toccherà i 21 punti nel 2019.
In questo quadro, l’annuncio del blocco delle clausole di salvaguardia ” estremamente positivo” L’aumento Iva “avrebbe frenato ancora di più la ripresa dei consumi e la crescita del Pil. Se si procedesse all’innalzamento delle aliquote, perderemmo a regime 8,2 miliardi di consumi: si tratta di circa 305 euro di spesa in meno a famiglia”. sul prodotto interno lordo, invece, l’impatto negativo ammonterebbe a -5 miliardi di euro.
L’effetto atteso sui prezzi, infatti, è di un aumento dello 0,7%. Una stangata che secondo le nostre analisi si trasformerebbe quasi completamente in contrazione di spesa, anche considerando che le due aliquote interessano molti servizi e generi di largo consumo, colpendo anche le fasce più deboli della popolazione”. L’aumento dell’Iva penalizzerebbe, i consumatori italiani anche nel confronto europeo: dal punto di vista dell’imposizione sui consumi l’Italia si colloca tra le prime posizioni nel panorama internazionale, seconda solo alla Svezia, paese noto per l’elevata pressione fiscale come il resto dei paesi scandinavi.
Sommando la tassazione dei consumi nelle forme vigenti oggi, si ottiene per l’Italia un valore dell’11,7 per cento del Pil, in salita dal 10,3 registrato nel 2008. E che si confronta con l’11 per cento della Francia, fino al ben più modesto 9,5 per cento osservato in Spagna.