Se l’Italia vuole tornare a crescere deve avviare una profonda riflessione sul modello di lavoro dei prossimi anni. Il Covid – 19 (dati alla mano) è ancora presente tra di noi; ciò richiede a imprese e Istituzioni – senza dimenticare il ruolo sempre più centrale dei luoghi di formazione del pensiero – di sviluppare modelli industriali che siano resilienti a possibili futuri cambiamenti di scenario. Insomma, un modello di sviluppo “scalare” che, in base alle circostanze esterne, consenta di non subire alla prima emergenza stress e perdite di produttività delle imprese, con conseguenze catastrofiche per le persone e l’intero sistema Paese.
Dobbiamo partire dalle esperienze innovative nate durante la pandemia per cogliere l’opportunità di declinare un nuovo sistema di relazioni industriali che sia sempre più legato all’innovazione tecnologica e alla necessaria trasformazione del lavoro. Perché la smaterializzazione dei processi produttivi, la comprensione collettiva che il lavoro agile – nella sua declinazione autentica – è possibile su un’ampia scala di popolazione, ci ha posto davanti alla fine della dicotomia tra sistemi di politiche industriali verticali e orizzontali.
Il nostro Paese ha uno straordinario bisogno di innovazione tecnologica e competenze. L’emergenza sanitaria e il lockdown hanno determinato un’inattesa accelerazione dell’alfabetizzazione digitale della popolazione italiana, impensabile fino a qualche mese fa. Abbiamo scoperto un mondo di possibilità che già erano presenti, ma che solo adesso sono diventate patrimonio di tantissimi. Eppure, dai risultati emersi dal Rapporto DESI – Digital Economy and Society Index 2020, l’Italia è ancora troppo indietro, fanalino di coda tra le esperienze europee. Ultima per competenze digitali e capitale umano.
Solo attraverso la stretta correlazione tra settori produttivi sarà possibile avviare azioni di sistema e trasformare questa situazione in una opportunità di ricostruzione e rilancio, ma bisogna fare presto. Le nuove tecnologie – a partire dal 5G – sono in grado di generare valore se integrate correttamente nel tessuto produttivo del Paese. Per farlo è necessario che le rappresentanze delle imprese e quelle sindacali, e le Istituzioni diano il via a nuovi modelli di ascolto, partecipazione e azione, a una nuova capacità di analisi dei problemi futuri e contrastino con determinazione la povertà educativa sul lavoro che coinvolge ampi strati del Paese.
Gli strumenti per avviare un primo cambiamento di sistema – e segnare il passaggio da politiche esclusivamente passive ad attive – esistono, come il Contratto di Espansione (adottato in via sperimentale nella Filiera TLC) che unisce sinergicamente formazione continua e certifica, riqualificazione delle persone, un vero e proprio patto intergenerazionale che apre alle nuove assunzioni e consente ai lavoratori che lo vogliano di intraprendere percorsi di prepensionamento. Anche i Fondi di Solidarietà permettono di declinare gli interventi a sostegno della competitività, dello sviluppo e della riqualificazione del capitale umano sulla base delle specificità settoriali.
Bisogna, quindi, cogliere l’opportunità della riforma degli ammortizzatori sociali annunciata dal Governo per promuovere l’adozione di soluzioni e strumenti omogenei e semplici, in linea con le sfide che ci pone questa fase di fortissima innovazione tecnologica e digitale, che sono in grado di supportare i processi di trasformazione attraverso il passaggio da un modello di politiche esclusivamente a sostegno del reddito meramente difensivo a uno anche espansivo.
Quello che il futuro ci chiede è un cambiamento profondo di visione industriale che parte da oggi. Dobbiamo utilizzare strumenti mirati e innovativi per la gestione delle diverse situazioni aziendali sia di crisi sia di trasformazione tecnologia, digitale e industriale. Gli strumenti di politica attiva – come il Contratto di Espansione – possono innovare rispetto a soluzioni obsolete aprendo una prospettiva di maggior attenzione alle persone.
Per costruire una nuova geografia del lavoro dobbiamo, potenziare le politiche attive del lavoro, ma soprattutto, strutturare un efficace piano nazionale di formazione digitale, semplificare il quadro normativo, sviluppare relazioni industriali innovative e adottare, responsabilmente e consapevolmente, una contrattazione che sia di “anticipo”.
Se la recente emergenza ha dimostrato qualcosa, è proprio che la connettività ha cambiato e cambierà sempre di più il lavoro e il sistema della relazioni industriali e che la scelta di non guidare la trasformazione in atto potrebbe rivelarsi controproducente nel lungo periodo sia per le persone, sia per il sistema industriale. È un’opportunità che non possiamo perdere: il rilancio del Paese passa oggi attraverso la riscoperta di una visione sistemica che faccia proprie nuove politiche del lavoro e si ispiri a scelte coraggiose.
Laura Di Raimondo