A proposito dello sciopero di Amazon. Ho letto diversi commenti sulla stampa e, francamente, provo una certa delusione sul modo, molto superficiale, con cui si affrontano argomenti seri quali quelli dell’attività lavorativa e la sua organizzazione nelle fabbriche.
Capisco che ci sia l’esigenza di usare toni roboanti per catturare l’attenzione del lettore, ma quando questo va a discapito della serietà dell’analisi, allora è bene provare a precisare.
Si è parlato di “schiavismo”, qualcuno ha riesumato il “cottimo”, altri hanno agitato il fantasma degli “algoritmi” impersonali che “guidano” la prestazione. Ovviamente il tutto condito dalla retorica della lotta contro le multinazionali che distruggono il commercio di prossimità; insomma una trama degna di una nuova e riadattata edizione del romanzo di Dan Brown “Angeli e Demoni”.
Ovviamente i toni sono anche conseguenza del livello di conflitto. Se ad usarli sono le Organizzazioni sindacali è più che legittimo, fa parte delle regole del gioco.
Quello che a mio parere invece non si capisce, dai diversi articoli comparsi sulla stampa, è il merito del conflitto sorto. Eppure una scheda sintetica aiuterebbe a capire meglio, anche perché molti temi evocati quali la negoziazione dei turni di lavoro e dei tempi di lavoro, fanno parte della migliore tradizione contrattuale e, non serve certo demonizzarli, per ottenere un facile consenso magari con l’obiettivo di dare più visibilità alla notizia col rischio però di ottenere l’esatto contrario.
Vorrei provare a portare un piccolo contributo anche ripescando nella mia esperienza personale.
Un contributo, nulla di più e nulla che abbia la presunzione di dare una spiegazione esauriente a quanto sta accadendo, però magari utile a inquadrare meglio il problema.
Partiamo dal “cottimo”. Ho lavorato in una Azienda di componentistica per auto a Crescenzago (MI) dall’età di 18 anni fino a 27 anni, in qualità di operaio metalmeccanico turnista, nel reparto di produzione delle candele (quelle per auto).
Facevo il tornitore e lavoravo a cottimo. Ci sono diversi metodi per la misurazione del cottimo (per ulteriori approfondimenti si può chiedere la testimonianza di chi ha lavorato nell’ufficio Tempi e Metodi di una grande azienda, magari la Pirelli).
Provando però a semplificare, si tratta di calcolare la microprestazione con cui è composta l’attività lavorativa e di sommarne i tempi, comprese le pause fisiologiche e i tempi morti connaturati a qualunque tipo di attività per ottenere una saturazione del tempo di lavoro.
La specificità del cottimo è quella di fare in modo che questa saturazione “consenta” all’operaio di incrementare la propria prestazione per guadagnare di più. Qualunque operaio o meglio ancora sindacalista che abbia partecipato alla “commissione cottimo” sa che esiste una regola fondamentale per la quale è meglio non incrementare troppo questa prestazione, altrimenti si rischia che vengano rivisti e “tagliati” i tempi di produzione. Sulle “catene di montaggio” questi ritmi erano e sono molto intensi. Il negoziato, figlio del conflitto sindacale giustamente individua quale soluzione migliore adottare per tutelare diversi e legittimi interessi: quello della produzione e quello della tutela della salute del lavoratore. Se qualcuno pensasse che questa è preistoria, si dovrebbe rileggere l’attuale contratto collettivo nazionale dei metalmeccanici: non mi risulta abbiano cancellato il capitolo dedicato alla contrattazione del cottimo in azienda.
Quanto agli algoritmi della prestazione, qui devo rifarmi a 10 anni di lavoro in Telecom Italia e alla mia esperienza con gli addetti alla riparazione guasti della Rete Telefonica.
La prestazione di questi tecnici veniva organizzata, non so ora, ma a quel tempo, da un algoritmo denominato “Work Force Management” (antesignano del più progredito world class manifacturing, che verrà introdotto nelle fabbriche FCA di tutto il mondo) che ottimizzava l’agenda giornaliera del tecnico sulla base del calcolo dei tempi di spostamenti e dei tempi di riparazione dei guasti. Nessuno dell’ufficio di programmazione poteva pensare che quell’ottimizzazione non dovesse comprendere anche dei tempi morti, ossia non dedicati alla riparazione dei guasti o all’istallazione di nuovi dispositivi telefonici.
Per quanto riguarda invece l’attività di Amazon. Faccio una premessa, non la conosco nel dettaglio e quindi non mi permetto di esprimere giudizi scarsamente meditati, tanto meno giudizi sul conflitto in corso, mi limito solo ad evidenziare, anche sulla base della mia esperienza in Poste Italiane, l’importanza dei temi organizzativi sottesi al conflitto in essere.
Poste Italiane ha sul territorio nazionale i CMP (centri di meccanizzazione postale) sono i centri nei quali viene smistata, da macchine automatiche la corrispondenza e ora anche i….pacchi. Si lavora H24 sette giorni la settimana. La posta deve arrivare giusto?
Poste italiane ha fatto e sta facendo, da quello che mi risulta, ingenti investimenti per modernizzare i CMP, prima di lasciare Poste Italiane visitai il CMP di Bologna, che peraltro era lo stesso che avevo visitato quando venni assunto 10 anni prima. Un altro mondo! Lo visitai con i colleghi del sindacato e insieme parlammo della necessità di come gestire questa nuova organizzazione del lavoro “lean production” che aveva tra i primi parametri di efficienza il calcolo del numero di infortuni giornalieri da ottimizzare con l’obiettivo “zero” non per un giorno, ma per tutti i giorni lavorativi dell’anno. Si continuava a lavorare H24!
Quanto alla distribuzione sul territorio, per quel poco che so, Amazon non ha una propria rete capillare e si avvale di corrieri, anche di Poste Italiane, per la consegna di pacchi. Il numero di pacchi da consegnare al giorno fu oggetto di attenta discussione in ambito sindacale, non so se ora abbiano trovato un “giusto” algoritmo da applicare.
Per quanto riguarda i turni, ci fu una discussione con i sindacati molto importante riguardante la consegna dei pacchi la sera, il sabato e in qualche caso la domenica. Spero che abbiano trovato anche su questo il giusto punto di equilibrio tra le diverse legittime esigenze.
E’ vero però che il mondo della logistica è composto anche da aziende “border line”, di piccoli corrieri.
Un vero “far west”. Il rinnovo del contratto di settore è la giusta occasione per provare a mettere anche lì un po’ di ordine.
In generale su questi temi il conflitto sindacale e il negoziato che esso comporta è la forma più alta di dialettica sociale e quindi altro che demonizzarlo o spaventarsi se questo si manifesta. Esso va semplicemente governato e gestito per raggiungere nuove sintesi che come dicono i giuristi siano “giuste per le parti”.
Mi auguro che anche la vertenza Amazon possa contribuire ad arricchire la storia delle Relazioni industriali di questo Paese e mi auguro anche che si faccia lo sforzo di approfondire nel merito questi temi, piuttosto che limitarsi a superficiali considerazioni.
Luigi Marelli