Il recente dibattito sollevato dalle posizioni sindacali sulla vaccinazione dei lavoratori merita un approfondimento. Non tanto sul merito della questione. Già autorevoli esponenti del mondo sindacale, almeno quelli che ne hanno contribuito a farne la storia, hanno preso precise posizioni, senza se e senza ma.
Mi ha colpito invece il coro unanime di tutte le principali sigle sindacali nella richiesta di una legge che rendesse obbligatoria la vaccinazione nei luoghi di lavoro, come se questa materia non fosse disponibile all’autonomia delle parti. Improvvisamente la contrattazione viene “sospesa” in attesa che il governo, meglio sarebbe dire il Parlamento, legiferasse in materia.
Trovo questa scelta, davvero interessante, forse foriera di conseguenze non del tutto meditate.
Se il Parlamento dovesse legiferare “al posto della contrattazione collettiva” in questa materia perché non dovrebbe farlo anche sul altre? magari più direttamente correlate al mondo del lavoro. Per esempio sulla rappresentanza sindacale, oppure sul “salario minimo” o magari su altri temi non meno importanti.
La questione è tutt’altro che semplice da dipanare, tuttavia una riflessione andrebbe avviata senza remore, perché, che ci sia un nesso tra legge e contrattazione collettiva è innegabile, e se fino a ieri vi erano forze politiche e sindacali gelosi difensori dell’autonomia contrattuale, e della sua autosufficienza in materia di diritto del lavoro, forse oggi questa radicale separazione mostra evidenti segni di affaticamento.
Quindi, perché non avviare invece una ricerca approfondita su quali possono essere i giusti equilibri tra legge e contrattazione? Mi pare evidente che ormai la storia del diritto del lavoro e del diritto sindacale sia contraddistinta da innumerevoli esempi virtuosi, basti pensare alla legge n.300/70, ai più nota come “statuto dei lavoratori” che ebbe l’astensione non solo dei deputati del PCI ma anche di quelli DC di corrente cislina, proprio perché rischiava di ledere l’autonomia della contrattazione. Ebbene questo dibattito va ripreso quanto meno per individuare alcune linee guida necessarie per posizionarlo nei giusti termini.
Provo a esprime dei concetti, magari ancora incompleti ma che a mio parere possono dare qualche contributo alla ricerca.
Primo: la legge non può e non deve essere “sostitutiva” della contrattazione collettiva, dove questo avvenga la seconda rischia di abdicare al proprio ruolo e alla lunga di atrofizzare la stessa dinamica sociale.
Secondo: la legge, deve tener conto, qualora esista, di una “consolidata” contrattazione collettiva, della medesima, quasi fosse questa una fonte giuridica (come in effetti è) a cui attenersi. Nessun legislatore promulgherebbe leggi in aperta contraddizione con una giurisprudenza consolidata.
Terzo: qualora non si realizzassero le prime due condizioni è meglio che il legislatore si astenga da intervenire lasciando invece allo sviluppo della libera contrattazione, tra le parti, l’onere e l’onore di individuare con pazienza i giusti punti di equilibrio tra diversi interessi, tutti pienamente legittimi.
Senza nessuna linea guida questo dibattito rischia di diventare erratico e sterile, di volta in volta, tirato dalla parte di chi vuole sempre un intervento legislativo e chi invece non lo vuole mai per difendere l’autonomia della contrattazione.
Luigi Marelli