L’unità sindacale barcolla ma non crolla: almeno per ora. In questi primi sette mesi dell’anno Cgil, Cisl e Uil hanno sempre continuato a lavorare assieme, partecipando a tutti gli incontri con il governo e ribadendo la propria piattaforma unitaria sui temi centrali: fisco, pensioni, lavoro, investimenti, Pnrr, eccetera. Nello stesso modo procedono unitariamente le diverse categorie, impegnate nei rinnovi contrattuali o in altre iniziative, come lo sciopero dei metalmeccanici di Fiom, Fim e Uilm delle scorse settimane. Ma a voler leggere non tanto tra le righe, quanto semplicemente i comunicati ufficiali che i rispettivi uffici stampa diffondono dopo ogni incontro delle confederazioni con il governo, è palese la distanza di pensiero, diciamo, che corre tra la Cgil e la Cisl.
Mentre la confederazione guidata da Maurizio Landini, dopo ogni vertice a palazzo Chigi o in qualche ministero, rilascia dichiarazioni estremamente critiche nei confronti del governo, la tendenza della Cisl è piuttosto quella di vedere il bicchiere mezzo pieno: privilegiando, per così dire, il lato positivo della faccenda, ovvero il confronto, ed evitando di sottolineare duramente la scarsità di risultati che i sindacati stanno ottenendo sui diversi tavoli. La tesi di Luigi Sbarra, del resto, è che il confronto sia già di per sé un risultato, dovuto anche alle tre manifestazioni Nord-Centro-Sud di primavera: “Il nostro mestiere è contrattare, e poi giudicare i risultati del confronto senza sconti. Continueremo quindi a presidiare tutti i tavoli negoziali avviati con l’esecutivo, puntando ad avanzamenti concreti per lavoratori e pensionati, per orientare riforme e investimenti in modo equo”.
Resta che i giudizi di Corso Italia e di Via Po suonano regolarmente differenti. Prendiamo ad esempio l’11 luglio, data di uno dei tanti incontri sulle pensioni. Usciti dal ministero del Lavoro dopo un incontro con titolare Marina Calderone, i sindacalisti Cgil hanno rimarcato che “dopo sette mesi non abbiamo dal governo ancora nessuna risposta sulle pensioni, è una presa in giro”; quelli della Uil hanno definito l’appuntamento “imbarazzante”; mentre per la Cisl si era trattato di un “incontro positivo”, preludio a prossime soluzioni su vari aspetti previdenziali. E ancora, il 19 luglio, dopo l’incontro col ministro Fitto sul Pnrr: “incontro inconcludente, preoccupano ritardi e incertezze”, per la Cgil, mentre per la Cisl ‘’la cabina di regia è positiva, ora bisogna proseguire il confronto”. E ancora, sul recente provvedimento per l’emergenza caldo: la Cgil rimarca soprattutto la debolezza del provvedimento, nonché la lentezza del governo nel procedere, la Cisl invece ne apprezza l’impegno. In sintesi, si potrebbe dire che la Cisl, pur vedendo benissimo i limiti nell’azione del governo, cerca di non mettere eccessivamente le dita negli occhi all’esecutivo, mentre la Cgil non perde occasione di farlo. Ma senza mai davvero rompere: né con la Cisl, né con Palazzo Chigi, visto che la Cgil continua a partecipare ai tavoli così spesso definiti “inutili”.
Entrambe le organizzazioni, c’è da dire, evitano anche i toni polemici le une verso le altre. Eppure ce ne sarebbero di spunti. La scorsa settimana, per esempio, la Cgil ha rotto ogni indugio nei confronti dello sciopero generale, annunciandolo nel modo più ufficiale (ovvero con un ordine del giorno votato all’unanimità dall’Assemblea generale) e con un percorso abbastanza inedito: chiederà infatti ai lavoratori di votare sull’ipotesi di sciopero, attraverso una campagna a tappeto di assemblee che si terranno tra settembre e ottobre, e in seguito, forte del mandato dei diretti interessati, lo proclamerà in parallelo con la presentazione della legge di bilancio. Nello stesso tempo, però, la Cgil ha anche annunciato di voler discutere il tutto – ovvero lo sciopero generale, eventuali date e temi- assieme alle altre due confederazioni: forse nella speranza che, non raccogliendo risultati nel confronto con il governo, anche la Cisl si convinca della necessità di una mossa forte, o forse come mera “foglia di fico”; ma dimostrando, intanto, di non voler del tutto rompere l’unità.
Quanto alla Cisl, all’annuncio di Corso Italia non ha risposto polemicamente, a sua volta scegliendo di smussare i toni. Anche se Sbarra, concludendo il Consiglio Generale del 27 luglio, non ha perso occasione di ribadire che il mestiere del sindacato è contrattare, e ha avvertito, sia pure senza nominarlo, Maurizio Landini: “l’opposizione politica la si lasci ai partiti. È sbagliato snaturare il ruolo del sindacato assumendo ruoli impropri di radicalismo sociale che ci condannerebbero all’irrilevanza”. Per questo, ha aggiunto, la road map della Cisl per i prossimi mesi andrà in una direzione ben diversa da quella barricadera della Cgil, e seguirà “la bussola della responsabilità”. Tuttavia, lo stesso Sbarra annuncia una “verifica” giusto in corrispondenza della Legge di Bilancio: “per valutare i risultati ottenuti nel confronto col governo e orientare di conseguenza l’azione sindacale della Cisl”. Una frase che si può interpretare così: se dai tavoli aperti con l’esecutivo non uscirà rapidamente “ciccia” concreta per i sindacati, Giorgia Meloni rischia di ritrovarsi in autunno anche la Cisl schierata in piazza con la Cgil e la Uil.
C’è da dire che il governo non sta certo brillando nell’interlocuzione con i sindacati. I primi sette mesi di quest’anno non hanno portato risultati particolarmente incisivi, salvo il taglietto al cuneo fiscale. Impantanata in una serie di polemiche abbastanza lunari, lateralissime rispetto alle esigenze del paese – dal caso Santanchè fino alla Rai – la maggioranza accumula ritardi su tutto: dal Pnrr, alle soluzioni per l’Emilia Romagna, a quelle per la catastrofe climatica, e via dicendo. Anche sulla partita del salario minimo (un’ottima operazione mediatica ideata dai partiti dell’opposizione, quanto realmente utile alle buste paga è ancora da vedersi, i sindacati comunque non ne sono entusiasti e nemmeno la Cgil la ritiene risolutiva) la maggioranza cincischia e non sa decidersi tra affossare o cavalcare la proposta di legge. Alla fine, come al solito, fa un pasticcio e rimanda alle calende greche. Ci sta, dunque, che i sindacati, pressati invece da emergenze molto concrete, e a fronte dell’assenza, dopo mesi, di qualunque traccia di politica industriale, di investimenti, di provvedimenti fiscali, previdenziali, sul lavoro, eccetera, alla fine si scoccino di pazientare. Tutti.
Nunzia Penelope