Dalle coperture economiche delle misure per la scuola previste nei programmi elettorali alla soluzione del precariato tra gli insegnanti; dal nuovo contratto da firmare al ruolo dei presidi; dal reclutamento ai fondi del Pnrr. A Roma sindacati della scuola e partiti politici a confronto sui temi dell`istruzione e della formazione in una tavola rotonda che ha visto presenti, in rappresentanza delle forze politiche, Valentina Aprea (Forza Italia), Carmela Bucalo e Paola Frassinetti (Fratelli d`Italia), Eleonora Forenza (Rifondazione Comunista), Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana), Manuela Ghizzoni e Irene Manzi (PD), Enzo Maraio (PSI), Rossano Sasso (Lega – Salvini), Daniela Sbrollini (Italia Viva), Manuel Tuzi (M5S). “La scuola non merita tutto questo”, il titolo dell’iniziativa.
Per Fratoianni (Sinistra Italiana) la scuola “è il terreno non di una spesa, ma di un investimento” e “il Pnrr è uno strumento una tantum: abbiamo bisogno di aumentare sensibilmente l’investimento nella spesa corrente sull’istruzione. Si può individuare come priorità l’aumento della spesa militare al 2% del Pil, 13 miliardi di euro l’anno, oppure prendiamo quei 13 miliardi previsti a spesa corrente e li investiamo per migliorare la qualità degli istituti, aumentare il salario dei docenti, ridare centralità alla scuola. Sono scelte politiche precise. Il tema della gratuità dell’istruzione dall’asilo all’università è il terreno su cui si misura la qualità di una proposta politica di un paese. Anche la competitività si gioca sull’innovazione, sulla qualità delle produzioni, della ricerca, della formazione, dei sistemi educativi”.
“La pandemia ha costretto ad investire e modernizzare di corsa la scuola e l’istruzione e sono stati fatti grossi investimenti che si sono conclusi con 17,5 mld del Pnrr per l’istruzione. Il problema – ha spiegato Aprea (Forza Italia) – è come si spendono questi soldi: ci troviamo con gli stessi problemi, abbiamo ancora 150mila cattedre scoperte, 600mila docenti non abilitati, problemi incancreniti nella scuola italiana. Vuol dire che abbiamo sbagliato tutto. La nostra proposta è semplice ma rivoluzionaria: bisogna portare la scuola verso il futuro. Entro il 2026 dovremmo restituire all’Europa i risultati degli interventi di riforma del Pnrr e abbiamo fatto ben poco. Non possiamo buttare 17,5 mld con fondi a pioggia senza monitoraggio.
Vogliamo un’istruzione di qualità: una scuola flessibile negli orari e nelle discipline, poche e opzionali; siamo contro l’obbligo scolastico; per la libertà di scelta dei percorsi e per l’offerta differenziata e duale soprattutto alle secondarie superiori”.
“Domandiamoci come in questi 15 anni la politica ha gestito la scuola – è stata la posizione di Tuzi (M5S) – e non dimentichiamo il governo di centro destra che ha tagliato 10 miliardi di euro alla scuola e governavano Berlusconi, Salvini e Meloni. Il M5S aveva l’idea di mettere la scuola al centro delle scelte politiche e nella pandemia abbiamo messo 10 miliardi sulla scuola e 55mila posti nei concorsi. I banchi a rotelle? Sono stati i presidi a sceglierli, non è una responsabilità imputabile all’allora ministra Azzolina. Il nostro obiettivo era ridurre le classi pollaio: ci siamo mossi per creare nuove classi, 40mila ne sono state realizzate. Ora servono più insegnanti e infrastrutture migliori”.
Anche per Bucalo (Fratelli d`Italia) “il precariato è una piaga, intacca il nostro sistema educativo. Ogni anno siamo alle prese con tantissime cattedre vacanti. È uno dei punti fondamentali del nostro programma. I soldi del Pnrr devono essere gestiti e investiti bene: si devono eliminare gli sprechi e uno dei più vergognosi è il ‘docente esperto’, una figura che crea una discriminazione. L’Europa ci chiede altro: di eliminare il precariato. Inoltre uno dei grandi sprechi è l’Invalsi con i suoi 7 miliardi l’anno, con test inutili”.
“Per il nuovo contratto della scuola l’obiettivo del Pd, oltre all’aumento delle retribuzioni, è investire risorse aggiuntive. Proponiamo – ha spiegato Manzi – che si aggiorni l’atto di indirizzo e si giunga in tempi rapidi e certi alla conclusione, con un investimento di risorse aggiuntive. In questo momento siamo a un aumento di 100-105 euro: servono più risorse. E poi un investimento di 10 miliardi nel quinquennio, restituire alla contrattazione collettiva gli elementi che la legge assegna al ruolo dei sindacati e allungare l’obbligo scolastico a partire dall’Infanzia”.
“L’idea di scuola che vogliamo è una scuola pubblica. È intollerabile – ha detto Maraio (PSI) – che veniamo da anni nei quali in questo settore chiave per il nostro futuro invece che investire abbiamo tagliato. Sulla spesa corrente bisogna investire e abbiamo la grande utilità del Pnrr, in cui la concertazione con i sindacati è fondamentale. Sì all’obbligatorietà della scuola dall’Infanzia e no all’autonomia differenziata. La vera sfida è riattivare l’ascensore sociale in questo Paese e questa possibilità è in mano alla scuola.
Significa dare a tutti, grazie alla scuola, l’opportunità di competere con chiunque altro”.
“Siamo nettamente contrari all’autonomia differenziata – ha spiegato Forenza (Rifondazione Comunista) – siamo di fronte all’ennesimo taglio di risorse per la scuola a fronte di un aumento delle spese militari. Abbiamo tre divari da colmare nel contratto: quello tra lo stipendio medio dei docenti italiani e europei; il divario tra docenti e dipendenti della P.A. con lo stesso titolo di studio; e tra docenti con lo stesso titolo di studio. È il momento di mettere la questione dello stipendio dei docenti al centro e siamo per la fine dell’alternanza scuola-lavoro che uccide e toglie tempo”.
Per Sasso (Lega-Salvini) “aver tenuto le scuole chiuse” per la pandemia “anche quando non era indispensabile ha fatto regredire ulteriormente i nostri ragazzi, per non parlare dei disabili. Con il governo Draghi ci siamo battuti per un minimo di didattica in presenza. Sul precariato, non abbiamo mai cambiato idea sulla stabilizzazione con 36 mesi di servizio. È una cosa che bisogna assolutamente sanare. Vivremo un autunno cupo. Con la crisi energetica a nessuno venga in mente di togliere un giorno di scuola, che ha già pagato abbastanza. Se poi gli istituti autonomamente, d’accordo con le famiglie, vogliono fare 5 giorni invece che 6 ben venga”.
E.G.