Con l’incontro di mercoledì sera, sindacati e Confindustria hanno aperto ufficialmente la trattativa sulla riforma dei contratti. L’obiettivo: condurre in porto un accordo interconfederale entro l’autunno. Diversamente, sarà il Governo ad agire di testa sua. Dall’esito del confronto dipende la sopravvivenza delle confederazioni, datoriali o sindacali che siano. Le quali lo sanno bene e non lo nascondono: ‘’Renzi non aspetta altro che certificare la nostra incapacità ad agire’’, e’ il commento che si raccoglie tra i sindacati. “Il governo ci vuole far fuori”, ha dichiarato a sua volta Giorgio Squinzi.
Quindi, occorre muoversi in fretta. La Confindustria, per la verità, si è già mossa: dieci giorni fa ha inviato ai leader di Cgil, Cisl e Uil un primo testo- guida che rispecchia, sostanzialmente, quello del giugno 2014. Ma i sindacati (tutti e tre, nessuno escluso) sono rimasti freddi, per non dire ostili. Il documento, infatti, non scioglierebbe alcuni nodi chiave (per esempio non indica alcuna soluzione su ‘’come’’ estendere a tutti la contrattazione di secondo livello, poiché a quest’ultima, in base alla riforma, si dovrebbero delegare praticamente tutti gli aumenti salariali futuri). Dunque, nel giudizio dei sindacati e’ stato al momento derubricato a “documento civetta’’: qualcosa di provvisorio, al solo scopo di vedere ‘’l’effetto che fa’’, e che quindi non inficia il proseguimento del confronto.
La partita tuttavia non è facile per nessuno. Non lo è per i sindacati ne’per la Confindustria. I primi sono ancora in ordine sparso. La Cgil vorrebbe inserire la riforma dei contratti in una piattaforma a tutto campo, dal fisco, alle pensioni, al Jobs Act, che comprenda anche un tradizionale pacchetto di ‘’mobilitazione’’. Inoltre, Corso Italia vorrebbe prima chiudere i contratti in corso, e solo dopo avviare una riforma del sistema. Ma pare un desiderio poco realizzabile: i contratti sono infatti a loro volta fermi in attesa di novità, e perfino quello dei Chimici, tradizionale battistrada, non fa nessun passo avanti. La Cisl, a sua volta, obietta che una piattaforma modello Cgil andava bene in un’altra Era geologica, ma e’ tempo buttato nell’Era Renzi: a chi la si dovrebbe sottoporre, se il governo ai sindacati manco rivolge la parola? La fase è cambiata, oggi i riti non servono più le grandi piattaforme nemmeno: di fronte a un governo che approva in due mesi la riforma della scuola fregandosene altamente delle proteste di mezzo paese. Dunque, per Anna Maria Furlan, sarebbe meglio attenersi al tema centrale, e cioè la riforma contrattuale. In mezzo, si colloca la Uil di Carmelo Barbagallo, che punta a ricavarsi un ruolo di ago della bilancia, o quanto meno di ‘’grande mediatore’’ tra le consorelle maggiori.
Sul fronte confindustriale i problemi, come sempre, si concentrano essenzialmente su ‘’quale’’ modello contrattuale scegliere. La divisione tra grandi gruppi e piccole imprese (per farla semplice: i primi favorevoli alla contrattazione in azienda, i secondi al contratto nazionale) da oltre vent’anni impedisce alla confederazione dell’industria di prendere una posizione univoca su questo tema. Dunque, difficile rispondere a questa semplice domanda dei sindacati: estendere a tutti la contrattazione di secondo livello, benissimo, ma come? Con i contratti di settore, di filiera, territoriali, o anche col salario minimo, come ha in mente Renzi? Inoltre, oggi, per la Confindustria c’e’ una complicazione in più: il contratto di gruppo firmato nei giorni scorsi da FCA-CHN (ne riferiamo dettagliatamente sul Diario) rappresenta una pietra miliare destinata a cambiare profondamente il sistema contrattuale italiano. Nel bene e nel male, negli anni futuri non si potrà non tenerne conto. Una vera rivoluzione, insomma, che, però, è avvenuta completamente al di fuori del perimetro confindustriale. Il che mette una certa ansia a Viale dell’Astronomia, che dopo essere stata scavalcata dall’ex Fiat teme un proliferare di casi analoghi.
Tanto più che, a quanto risulta al nostro giornale, lo stesso Matteo Renzi si sarebbe letteralmente ‘’innamorato’’ del modello contrattuale firmato da Marchionne: aumenti salariali da 10 mila euro, sia pure legati ai risultati e spalmati su quattro anni, rappresentano agli occhi del premier un risultato straordinario, che riduce a spiccioli i famosi 80 euro in busta paga, e che sarebbe dunque perfetto potersi giocare nei confronti degli italiani, magari in vista di prossime campagne elettorali. Di qui, la tentazione di Renzi: fare sua l’idea, trovando il modo di trasferire in provvedimenti legislativi il modello Marchionne. E anche questo mette pepe, e fretta, alla trattativa tra le parti sociali.
Lunedi, intanto, si riuniranno le segreterie unitarie di Cgil, Cisl e Uil. L’appuntamento è già di per se una notizia: nell’ultimo decennio, se ne sono tenute ben poche. Più numerosi sono stati gli accordi separati, che hanno visto esclusa la Cgil. Ma questa volta non sarebbe un’opzione praticabile. Proprio Confindustria, nell’incontro di mercoledì scorso, avrebbe infatti escluso qualunque ipotesi di trattative separate: o si va avanti tutti insieme, o niente. Avendo però tutti ben chiaro un concetto: i tempi sono strettissimi, o si riesce a tirar fuori un accordo entro settembre, o la palla passerà a Renzi, e sarà la prossima legge di stabilità a determinare il nuovo assetto dei contratti. Intanto, gli esperti incaricati da Palazzo Chigi, Tommaso Nannicini e Maurizio Del Conte, stanno già affilando le penne per stendere i testi.
Nunzia Penelope