Sono ormai diversi mesi che stiamo vivendo in misura altalenante gli effetti dell’emergenza sanitaria, effetti che hanno inevitabilmente coinvolto anche il mondo del lavoro andando a modificare l’organizzazione del lavoro e conseguentemente la cultura stessa.
Il primo importante segnale è giunto con la diffusione dello smartworking o del cosiddetto lavoro agile, si è quindi chiesto ai lavoratori di lasciare il consueto ambiente di lavoro tradizionalmente inteso per continuare a lavorare in un ambiente “diverso”, tipicamente la propria abitazione o un ambiente esterno che permettesse di eseguire la prestazione lavorativa senza creare interazioni fisica con altri colleghi.
In poche settimane lo strumento dello “Smartworking” ha assunto una diffusione nazionale, cogliendo diversi settori dell’industria italiana culturalmente impreparati ad affrontare gli effetti di questo modello di organizzazione del lavoro.
Come spesso accade, le grandi trasformazioni derivano da stati di necessità e quindi arrivano con la forza dirompente di uno “Tsunami”, tuttavia, come è accaduto in questo caso, la forza che accompagnato la diffusione del lavoro agile ha avuto un impatto, a mio avviso, positivo facendo chiaramente capire come ormai fosse tempo di dare reale concretezza alla tanto citata “agenda digitale”: crescente bisogno di piattaforme connettive stabili e sicure, applicativi e strumenti di lavoro performanti e per finire continui momenti di condivisione virtuale (videocalls, chat, etc..).
Abbiamo vissuto una primavera sicuramente complicata sul piano sociosanitario, ma allo stesso tempo, abbiamo iniziato a sperimentare come fosse realmente possibile cambiare il nostro modo di lavorare, come in realtà lo spazio lavorativo tradizionalmente inteso potesse assumere forme e dimensioni concretamente nuove.
Questa trasformazione, come dicevo inizialmente, ha colto molte imprese culturalmente impreparate, e quindi fin dall’inizio si è erroneamente pensato che si dovesse semplicemente trasferire le consuete modalità lavorative dalla scrivania dell’ufficio al comune tavolo del soggiorno di casa, dimenticandoci che il tempo e l’ambiente di lavoro del lavoro agile richiedessero una profonda rivisitazione delle “regole del gioco”.
Occorreva infatti definire subito alcuni principi fondamentali: l’orario di lavoro, la disconnessione, le modalità di relazioni con le organizzazioni sindacali, il senso di appartenenza all’azienda, la conciliazione dei tempi vita-lavoro e per finire la declinazione dei consueti protocolli di sorveglianza sanitaria.
È stato interessante assistere, come si sia, fin da subito, avviato un confronto propositivo tra le imprese e le OOSS delle diverse categorie per iniziare ad analizzare ciò che stava accadendo definendo, quindi, un’importante sperimentazione per capire come dare delle risposte concrete alle esigenze che si stavano profilando.
Il settore delle Telecomunicazioni, forte di alcune esperienze già avviate negli anni precedenti sul lavoro agile, ha saputo cogliere la sfida che si stava profilando con grande proattività e fin da subito ha definito dei protocolli attuativi con le organizzazioni sindacali per aumentare la diffusione di questo strumento, incrementando in modo considerevole gli investimenti in piattaforme connettive e strumenti digitali.
I primi segnali importanti sono arrivati ad esempio da aziende come Tim, Fastweb, Tiscali e Vodafone ma non solo, infatti un segnale molto importante della reale trasformazione della cultura lavorativa è arrivata dagli outsourcers dei servizi telefonici come ad esempio Almaviva, Comdata e molti altri superando in modo coraggioso l’antico pregiudizio fondato sul fatto che quella tipologia di lavoro non potesse evolvere. Infatti, ciò che è emerso in modo assolutamente convincente, è stato prendere coscienza che tutte le professionalità del settore delle TLC potessero essere eseguite in modalità agile, seppur con le loro caratterizzazioni come peraltro hanno dimostrato gli accordi che si sono perfezionati nei mesi successivi al lockdown.
Il primo importante passo, nella direzione della definizione del nuovo paradigma lavorativo fu fatto da Asstel il 29 luglio 2020, definendo con le OOSS del settore TLC le cosiddette linee guida, in sostanza sono stati definiti dei principi che sono serviti ad indirizzare le parti sociali nel definire attraverso la contrattazione collettiva degli accordi volti a regolare il lavoro agile in coerenza con le specificità delle diverse imprese.
Principi, che poi gli accordi delle principali aziende del settore hanno declinato in modo coerente alla propria organizzazione del lavoro dando una risposta concreta ai seguenti bisogni: Tutela della salute dei lavoratori, flessibilità organizzativa e miglioramento della produttività.
Interessante sotto questo aspetto vedere le peculiarità di alcuni accordi del settore TLC che durante la scorsa estate hanno prontamente cercato di regolare il lavoro agile ispirandosi alle linee guida e trovando soluzioni che permettessero di ricercare un equilibrio tra lavoro agile e lavoro tradizionale guidati essenzialmente dalla volontà di innovare all’interno dell’organizzazione del lavoro.
Il primo accordo che apre la stagione della contrattazione di secondo livello sul lavoro agile viene firmato in Tim il 4 agosto del 2020, accordo che sicuramente segna un tracciato importante a cui si ispireranno, come spesso succede, gli accordi successivi, la caratteristica principale è il cambiamento della cultura organizzativa facilmente sintetizzabile in: sperimentazione del lavoro agile declinato in base alla tipologia della prestazione e delle caratteristiche orarie della stessa, messa a disposizione di strumenti che favoriscano la connettività e il coordinamento con l’organizzazione del lavoro, principio del diritto alla disconnessione basato sulla responsabilizzazione del lavoratore – superando quindi l’ormai antistorico “controllo a distanza” disciplinato dall’art 4 dello Statuto dei lavoratori-, definizione di un orario di lavoro entro il quale espletare flessibilmente la prestazione lavorativa, creazione di una piattaforma connettiva per la gestione delle agibilità sindacali; il tutto basato essenzialmente sulla volontaria adesione a questo strumento, segno della volontà di accompagnare il lavoratore verso un progressivo cambiamento culturale.
Altrettanto significativo è l’accordo di Fastweb sottoscritto poco dopo il 29 settembre 2020, nel quale si porta a compimento, anche in questo caso, il processo di profonda trasformazione culturale avviato già con l’accordo integrativo del 2019, basato sul principio che ogni lavoratore ha la possibilità di esercitare la propria prestazione in modalità agile, attraverso una volontaria adesione allo strumento.
Questo principio rinforza un concetto molto interessante legato alla piena responsabilizzazione del lavoratore nello scegliere la modalità e il luogo di lavoro avendo come obiettivo quello di raggiungere un “risultato”. Un concetto, apparentemente scontato, ma in realtà molto avanzato nella pratica realizzazione, infatti questo accordo tende a normalizzare il lavoro agile come elemento insito nella normale esecuzione della prestazione rompendo quindi tutti quei paradigmi legati al controllo della prestazione, al potere gerarchico e stimolando invece l’interazione tra i lavoratori attraverso la messa a disposizione di strumenti digitali che favoriscono il dialogo e la collaborazione.
Da ultimo, in ordine cronologico, l’Accordo Vodafone del 29 ottobre u.s., accordo che ha una genesi molto diversa rispetto agli altri, anche se in realtà poi mantiene la medesima impostazione. Giova sottolineare che il lavoro agile in Vodafone nasce nel 2012 all’interno di un progetto di Gruppo il cui scopo era quello di avviare una sperimentazione che valorizzasse da un lato la conciliazione dei tempi vita-lavoro e dall’altro implementasse le politiche di eco-sostenibilità aziendale riducendo i disagi derivanti degli spostamenti casa-ufficio.
Negli anni, infatti questo progetto si è progressivamente consolidando fino a trovare con l’accordo del 29 ottobre 2020 una completa condivisione con le OOSS, che dal canto loro hanno contribuito a consolidare due importanti fattori di cambiamento culturale: il cambiamento dell’organizzazione del lavoro del customer care ed il sistema di welfare.
Anche con l’accordo Vodafone si assiste ad una declinazione del lavoro agile sulla base della tipologia della prestazione, infatti, vi è una distinzione tra la percentuale di lavoro agile del customer care ed il resto dell’azienda, sotto questo aspetto in modo sicuramente avanguardistico, come è sempre stato nella tradizione sindacale di Vodafone, si è data la possibilità ai lavoratori del customer care di poter gestire in modo significativo la propria prestazione lavorativa in modalità agile, si parla dell’80% della prestazione su base mensile, circa tre settimane mese. Si riconferma, la predisposizione, in linea con quanto già definito a livello di settore, di una adeguata dotazione di strumenti digitali ed ergonomici, riconfermando, altresì, il principio della responsabilizzazione del lavoratore nell’esercizio della prestazione, superando il concetto di controllo individuale, sulla base degli accordi che negli anni precedenti erano stati definiti.
Altro aspetto interessante di questo accordo è rappresentato dal Welfare, strumento che all’interno di Vodafone sin dal 2010 ha, progressivamente, rappresentato un valore per i lavoratori, infatti molto interessanti sono le iniziative a tutela della salute e del benessere dei lavoratori, come ad esempio: la consulenza in materia di benessere organizzativo, la tele cardiologia, la medicina di consiglio, le iniziative a favore della genitorialità e delle persone più deboli e gli strumenti contro le violenze domestiche.
In conclusione, penso si possa iniziare ad affermare che il lavoro agile stia progressivamente diventando un “modus operandi” che a partire da settori come quello delle TLC andrà via via diffondendosi ai diversi segmenti dell’industria, dove i tre principi essenziali si possono sintetizzare in: responsabilizzazione, contrattazione collettiva e digitalizzazione.
Massimo Forbicini